Una grande rissa, tra naziskin e una banda di immigrati girata al porto di Napoli, in un capannone dalle pareti rosse e nere nei Magazzini Tirreni. E’ una delle ultime scene a cui lavora Marco D’Amore, provando, le inquadrature delle ‘botte’, dopo che al trucco, gli hanno ‘preparato’ il volto con lividi e tagli, nel suo nuovo film da regista e coprotagonista (insieme a Toni Servillo), CARACAS, che porterà sul grande schermo, dopo Nostalgia di Mario Martone (candidato italiano agli Oscar 2023 e nove nomination ai David), un altro grande romanzo di Ermanno Rea, Napoli Ferrovia (Feltrinelli). Il film, prodotto da Picomedia, Mad Entertainment (già insieme per Nostalgia) e Vision Distribution (anche distributore) è alla settima e ultima settimana di riprese. “Da lettore e spettatore ho sempre amato i racconti con dentro la vita al di là delle definizioni” e Rea (scomparso nel 2016, ndr) “con una semplicità calviniana è riuscito a rendere ciò che gli è accaduto nella vita l’humus della sua scrittura – spiega all’ANSA D’Amore durante la pausa pranzo -. Considero questo il mio vero banco di prova come regista, il film non risponde a un solo genere, ha l’ambizione di essere d’azione, drammatico, d’amore, politico, profondamente sentimentale”. Caracas “è un action esistenziale – spiegano due dei produttori Luciano Stella e Roberto Sessa – c’è un aspetto meravigliosamente riflessivo ma anche la fisicità che appartiene a Marco come autore e attore”. D’Amore è qui alla sua terza regia dopo L’immortale e il docufilm Napoli magica: “Con il cosceneggiatore Francesco Ghiaccio siamo partiti da un grande, necessario, tradimento perché il libro di Rea è come un diario di viaggio. Nel film cambiano le dinamiche, le modalità d’incontro dei personaggi, ma abbiamo conservato quello che Rea (si è ispirato a un suo reale incontro) di fulminante ci aveva regalato, le entità dei protagonisti, il suo viaggio intimo e privato oltre la storia”. La trama “ha come protagonisti un grande scrittore, Giordano Fonte (Toni Servillo) che dopo molti anni torna nella sua città Napoli, della quale compie un percorso di riscoperta – spiega -. La sua ‘guida turistica’ è Caracas (D’Amore), un uomo di estrema destra che sta per convertirsi all’islamismo”. Il film riporta insieme sul set l’interprete di Gomorra – La serie e Toni Servillo, che è stato suo capocomico, regista in palcoscenico, e con lui già cointerprete di Una vita tranquilla di Claudio Cupellini nel 2010. “Francesco ed io abbiamo scritto il film pensando a Toni prima ancora che ci dicesse sì. Pensavamo che potesse innamorarsi del personaggio e del suo viaggio e così è stato”. E’ un attore “che studia tantissimo, non lascia nulla al caso”, lavorare con lui “è come pizzicare la corda di uno Stradivari”. Nella storia, Caracas trascina Fonte “nel gorgo della sua esistenza e del suo amore tossico con Yasmina (Lina Camelia Lumbroso)”. La vita “e la scrittura si mischiano, come le esistenze di Caracas e di Giordano. C’è tra loro un confronto generazionale, intellettuale, emotivo, di comprensione e respingimento, si amano e odiano”. In maniere “completamente diverse Giordano e Caracas sono uniti dai rischi che corrono, è come se stessero sospesi sul filo di un funambolo”. Il tutto in una Napoli che per molti “sarà irriconoscibile”, raccontata “nelle sue contraddizioni e nella sua concentrazione e di donne e uomini che vengono da ogni parte del mondo”. Una “Napoli aperta, che sarà esplosiva nel film”, tra più etnie e lingue: comunità che d’Amore ha incontrato e coinvolto nelle riprese. Venendo al suo personaggio, Caracas, unisce in se’ “due percorsi molto diversi, uno estremamente politico l’altro totalmente spirituale”. D’altronde Napoli è la città italiana dove ci sono più conversioni all’Islam, “7 nuovi islamici napoletani al giorno” ricorda l’attore e regista, che ha girato anche nella prima e più grande moschea della città, a pochi passi da Piazza Mercato. Per prepararsi, D’Amore ha parlato a lungo con l’Imam e segretario generale della Confederazione Islamica Italiana, Abdellah Massimo Cozzolino, napoletano, ex frate francescano. Anche Rea, per il libro “aveva passato con me qui un mese e mezzo – racconta Cozzolino – per osservarmi e dipingere questa realtà”
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