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Roger Waters, la recensione «atlantista» del concerto al Forum di Assago

today10 Aprile 2023 4

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Una volta si diceva uomo avvisato mezzo salvato. «Se sei il tipo di fan “mi piacciono i Pink Floyd ma non sono d’accordo con le idee politiche di Roger”, faresti bene ad andartene a fancu… al bar in questo momento». Parte con questo avviso, scandito dalla voce impostata di una specie di steward ed enfatizzato dalla scritta sugli schermi a led, il concerto di Roger Waters al Mediolanum Forum d’Assago, prima data della parentesi italiana del «This is not a drill tour» (si replica il 28, il 31 marzo e l’1 aprile ancora ad Assago, poi il 21, 28 e 29 aprile alla Unipol Arena di Casalecchio: sette sold out, che te lo dico a fare).

Un calcio in bocca al mainstream

È un calcio in bocca, il segno immediato che la comunicazione mainstream, su temi che negli ultimi tre anni sono stati al centro del dibattito pubblico (la guerra in Ucraina, il Covid, Israele), non è la benvenuta. Roger Waters lo conosciamo: è così, prendere o lasciare. Mica per caso le date di Cracovia e Francoforte sono state cancellate, con immancabile strascico di polemiche, petizioni e azioni legali. Mica per caso il dossier sulla vendita dei diritti dei Pink Floyd, a un centimetro dal colpaccio di Blackstone, si è improvvisamente arenato (voi li investireste 500 milioni di dollari sul songbook di un artista immenso che, a giorni alterni, accusa di crimini di guerra Washington e Tel Aviv?). Mica per caso il suo videomessaggio a Sanremo 2020 fu annunciato e mai più mandato in onda, circostanza mai chiarita fino in fondo dalla Rai (ma possiamo immaginare). Chi è sinceramente atlantista deve fare i conti con tutto ciò, nella consapevolezza che, dal punto di vista dell’apparato scenografico e acustico, il «This is not a drill Tour» riscrive la storia dei concerti nei palazzetti: show mastodontico, qualità audio incredibile, qualcosa di inedito per gli standard del Forum.

L’apparato scenografico che riscrive la storia dei live

Il palco sta al centro dell’arena, è a 360 grandi, direbbe la Meloni, sovrastato da una croce mobile di schermi a led che ospitano quella che Waters definisce la «cinematic experience» del tour: non banali video di accompagnamento ai brani che vediamo in tutti i concerti, ma veri e propri inserti narrativi che mescolano immagini e testo. Per dire: si comincia con un’oscura Comfortably Numb e l’occhio cade sulle immagini di devastazione di un inverno nucleare. La sveglia ce la dà il trittico di The Happiest Days of our Lives, Another Brick in the Wall part 2 & 3 mentre ci insegue una cartellonistica che ripete ossessivamente «Noi siamo i buoni, loro i cattivi», come succedeva nei film più schierati di Fassbinder. Per chi non l’avesse capito: ce l’ha con la guerra in Ucraina.

Reagan, Trump e Biden «criminali di guerra»

E poi l’attacco a tutte le polizie del mondo, con i nomi di tutti i cittadini inermi uccisi dai poliziotti, da George Floyd in giù, per The Powers that be. E soprattutto The Bravery of Being Out of Range, col discorso iniziale di Reagan, chiamato «criminale di guerra». E come lui Trump e come lui Biden, definito «war criminal getting started», a una manciata di giorni dalla vera incriminazione di Putin da parte del Tribunale dell’Aja. Che non viene citata. È una provocazione, chiaro. Qui lo spettatore atlantista alzerebbe timidamente il ditino per far notare che sì, vanno bene i «fuck the drones» e l’autoflagellazione che gli intellettuali dell’Occidente capitalista compiono dagli anni Sessanta a questa parte, ma non è che ad andare dall’altra parte dei «muri» (nel 2023 serve il plurale), in Cina o in Russia, sia tutta questa passeggiata di salute. Si va a finire a The Bar part 1, ballad pianistica sull’importanza sociale della relazione tra gli individui scritta durante il lockdown che, per forza di cose, negava quella relazione tra gli individui.

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Amarcord floydiano

Il momento più commovente dello show è comunque la lunga parentesi di amarcord floydiano. La satira sullo showbiz anni Settanta di Have a Cigar, l’omaggio a Syd Barrett (con un pizzico di revisionismo storico ma, l’avrete capito, fa parte del personaggio) di Wish you were here. Qui le scritte sul video ti tirano un altro pugno nello stomaco: se in vita tua hai perso qualcuno che amavi, lo avrai capito che questa non è un’esercitazione, «This is not a drill», appunto. Poi la coda di Shine on you crazy diamond e ancora Sheep che, nel lyrics video, omaggia esplicitamente Orwell e Huxley, modelli distopici di Animals. La pecora gonfiabile ci ricorda il nostro essere gregge mentre qua e là spuntano immagini di pillole e Sars Cov2, mannaggia a Big Pharma. E anche qui uno alzerebbe il ditino per dire sì, vabbé, Big Pharma e tutto il resto, però alla fine dopo i vaccini siamo tornati a fare la vita di una volta e guarda invece in Cina…

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Scritto da: redazione

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