Ci sono voluti quasi trent’anni prima che le note del Don Giovanni di Mozart tornassero a risuonare nel Teatro Regio di Parma, tempio di indefessa fede verdiana. È uno dei lasciti del direttore generale Anna Maria Meo, che si è congedata dopo sette anni di una gestione che ha portato nuove risorse e proposte ben pensate. Al nuovo sovrintendente Luciano Messi spetta ora il compito mettere a ulteriore frutto quest’eredità.
Mario Martone
Per il ritorno del Don Giovanni al Regio, titolo di apertura della stagione lirica 2023, la scelta è andata su uno spettacolo ben collaudato, senza forzature di sorta: il regista Mario Martone lo ideò ormai più di vent’anni fa, nel 2002, per il San Carlo di Napoli (ora ripreso da Raffaele di Florio), con le scene e i costumi in stile barocco di Sergio Tramonti, le luci di Pasquale Mari, le coreografie di Anna Redi.
C’è una grande gradinata lignea a dominare la scena di tutta l’opera, «qualcosa fra il teatro elisabettiano, un’arena spagnola, gli scranni di un tribunale», come ha ricordato lo stesso Martone, raccontando di aver avuto la visione di questa tribuna durante una notte insonne.
Affollata all’inizio, si svuota man mano che i personaggi raggiungono il palcoscenico, spettatori e protagonisti dello spettacolo; alla fine, vi troneggerà solo il Commendatore, mentre avvinghia la mano Don Giovanni nella sua stretta fatale. La solitudine della morte e della punizione. Così come il pubblico vive da vicino la vicenda, in questo teatralissimo ribaltamento di prospettive, grazie ai due ballatoi laterali che permettono ai cantanti di cantare e muoversi lì sopra, in platea, nei palchi di barcaccia. Il movimento, che con vivacità incalzante non lascia tregua all’attenzione, è il punto di forza dello spettacolo, come lo è del resto la recitazione, spigliata, dinamica, dei cantanti.
Fra questi s’impongono la Donna Elvira sicura e versatile negli accenti di Carmela Remigio e la Donna Anna intensa e dalla voce voluminosa di Mariangela Sicilia. Ci sono poi la Zerlina dalla graziosa sensuale musicalità di Enkeleda Kamani, il Masetto vispo di Fabio Previati, il Don Ottavio di Marco Ciaponi, che rende il personaggio meno insopportabile di quel che è grazie alla morbidezza degli accenti, il Commendatore dall’importante voce di Giacomo Prestia. E se Leporello ottiene vivacità e disinvoltura da Riccardo Fassi, nel Don Giovanni di Vito Priante avremmo voluto più corrispondenza fra il piglio da mascalzone e l’espressività di una voce pur robusta.
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