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Ambiente

Siccità, il piano invasi per salvare l’agricoltura è realizzato solo al 2%

today30 Aprile 2023 15

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Nemmeno un anno di siccità record come il 2022 ha finora smosso granché. L’Italia sconta pesanti difficoltà nella gestione della risorsa idrica che in passato venivano mascherate dietro l’abbondanza delle precipitazioni (sia pioggia che neve), ma che invece ora, con il cambiamento climatico, appare d’un tratto non più sostenibile. E di certo non lo sarà in futuro. Insomma, è necessario correre rapidamente ai ripari. Le risorse non mancano. Esistono diverse fonti di finanziamento che possono essere movimentate per questi obiettivi a partire dai budget gestiti dal ministero degli Affari europei e le politiche di coesione. E poi c’è il capitolo dedicato all’interno del Pnrr con 880 milioni di euro, anche se questa tranche di risorse è vincolata a opere di ammodernamento e di efficientamento della rete irrigua esistente. Misure sicuramente importanti ma che, se anche realizzate, di certo non riusciranno a risolvere i problemi.

L’Italia recupera solo l’11% della pioggia

Oggi il sistema nazionale di gestione delle acque è in grado di accumulare e rendere disponibili per gli usi irrigui in agricoltura, ma anche per gli usi industriali e civici, appena l’11% dell’acqua che cade sul territorio italiano (in media tra i 300 e i 320 miliardi di metri cubi l’anno). «È su questa percentuale che dobbiamo incidere, per modificarla in maniera sensibile – spiega il direttore generale dell’associazione dei consorzi di bonifica e gestione del territorio e delle acque irrigue (Anbi), Massimo Gargano –. Noi, insieme a Coldiretti, abbiamo presentato un piano per la realizzazione di 10mila invasi di piccola e media dimensione da mettere in opera entro il 2030 che, se realizzato, consentirà di portare quella percentuale dell’11% al 30%, forse 35%. Il 60% di questi invasi sono aziendali e quindi realizzati da privati con cofinanziamento pubblico dove possibile. I primi 223 progetti sono già esecutivi e alcuni sono anche stati già realizzati e inaugurati. Ma stiamo parlando di poco più del 2% del nostro piano. Serve l’attenzione delle istituzioni e degli enti locali per imprimere una forte accelerazione e arrivare finalmente all’obiettivo di raccogliere la risorsa acqua nel corso dell’anno per renderla disponibile nei periodi in cui c’è invece carenza».

Progetto di 10mila bacini

Il «Piano Laghetti» presentato da Anbi punta a realizzare subito 223 nuovi invasi con un costo stimato di 3,2 miliardi di euro («va ricordato – ha aggiunto il dg Anbi – che la Coldiretti solo per il 2022 ha stimato danni da siccità per 6 miliardi di euro») e la creazione di 16mila posti di lavoro. Un piano che non prevede la posa di cemento, ma che punta in gran parte sul riutilizzo di cave abbandonate. Aree che, spesso, una volta dismesse diventano discariche a cielo aperto e, nella migliore delle ipotesi, teatro di rave party.

Appartiene a questa tipologia il bacino inaugurato la scorsa settimana a Castrezzato (Brescia), ma sono state individuate cave abbandonate e potenzialmente riutilizzabili in diverse regioni italiane. Il Piano non prevede la costruzione di dighe, ma punta oltre che sulle cave abbandonate sulle “casse di espansione”, ovvero le aree di allagamento ai margini dei fiumi, che con la piena vengono sommerse ma che con piccoli interventi possono conservare l’acqua e trasformarsi in oasi naturalistiche con riserve idriche cui attingere in caso di necessità.

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Acqua e rinnovabili

«Risolvere le criticità idriche è il primo obiettivo del nostro piano – ha aggiunto Gargano – ma in realtà ci proponiamo molto di più. Altro passaggio importante del nostro progetto è che su questi bacini e laghetti da massimo 5 milioni di metri cubi d’acqua si possano poggiare, per almeno il 30% della loro superficie complessiva, pannelli fotovoltaici galleggianti per produrre energia. L’energia da fotovoltaico insieme a quella idroelettrica ottenuta laddove è possibile sfruttare “salti d’acqua”, potrebbero essere sfruttate dal sistema consortile per aiutare le imprese del territorio a ridurre i costi dell’energia e, in questo modo, a rafforzare la competitività del sistema agroalimentare italiano È un percorso che abbiamo già avviato in Emilia, Lazio, Campania e Calabria e che possiamo replicare altrove». Una produzione di energia pulita e rinnovabile che inoltre consentirebbe di avvicinare l’Italia agli obiettivi dell’Agenda 2030 e fornire un contributo all’abbattimento della CO2.

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Scritto da: redazione

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