La società dello chef stellato approva un bilancio preoccupante e che non migliora. L’analisi dei motivi, cifre alla mano, e il “piano b” di colleghi illustri
Chef Carlo Cracco (Shutterstock)
Le cifre sono preoccupanti: 4,6 milioni di euro di perdita in cinque anni, l’ultimo bilancio di esercizio approvato e di cui dà notizia dettagliata Affari Italiani è di 409mila euro. E quando ti chiami Carlo Cracco, star popolare fra gli chef stellati grazie alle tue imprese di alta cucina e televisive, la notizia fa particolare rumore.
La spina nel fianco di Cracco è il celebre ristorante aperto nel 2018 in Galleria a Milano, che nel mentre ha meritato anche una stella Michelin. Nonostante un aumento di fatturato da da 3,3 a 4,3 milioni di euro, il locale non decolla e seguita a macinare passivo. Il motivo? Non riguarda solo l’impresa di questo acclamato chef.
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Costi di produzione alle stelle
Se Cracco col ristorante in Galleria Vittorio Emanuele II, nel “salotto” di Milano perde oltre quattrocentomila euro (ma nel 2021 erano 524mila) e fattura un milione in più come mai gli affari non vanno bene e seguita ad avere un rosso di quasi 1 milione l’anno? Il motivo principale è quello che accomuna la difficoltà di esercizio di altri celebri “templi” della cucina gourmet: peso delle materie prime. I costi di produzione documentati nell’ultimo bilancio d’esercizio approvato dalla società di cui Carlo Cracco è amministratore unico, sono cresciuti da 4 a 4,8 milioni di euro. I debiti complessivi ammontano a 7,3 milioni, di cui 3,1 verso fornitori e la cifra restante verso le banche, compreso un finanziamento in parte restituito e in parte rinegoziato a causa della pandemia. Fare alta cucina costa moltissimo, lo si sa anche per le testimonianze di altri ristoranti celebrati in tutto il mondo.
Il caso del “Noma”
Abbiamo scritto qui della decisione shock del Noma, ritenuto il migliore ristorante del mondo, di chiudere e reinventarsi. Il motivo è stato spiegato dal suo creatore, René Redzepi, col fatto che i costi stanno diventando impossibili da sostenere e questo porta a cattive ricadute di comportamento nei confronti del personale, arrivando a far accettare agli allievi chef di lavorare gratis pur di mettere l’esperienza nel loro curriculum. Una deriva subito interrotta da Redzepi che ha deciso di trasformare in modo profondo il Noma. Certo la pandemia ha aggravato la situazione, ma fin dove ci si può spingere per seguire l’altissima cucina e i costi che richiede? C’è anche chi è ripartito dal personale, come nel caso di Alajmo che ha rinegoziato contratti e accordi, con aumenti di stipendio e premi al team, orari più umani e la messa al primo posto dell qualità della vita dello staff. Certo non basta a risolvere tutti i problemi, ma è un inizio.
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