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Il vino, i sapori e i resti antichi: la storia di Enotria e di come è stata ritrovata. Un tour da non perdere

today14 Maggio 2023 8

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Conoscete la storia di Enotria? Ve la racconto io! Enotria, letteralmente la terra della vite legata al palo (oinòtron) con due capi a frutto per meglio resistere ai venti, rappresenta quella porzione di Appennino, dal Cilento alla Calabria, dove i Greci, all’inizio della colonizzazione di questi luoghi, si meravigliarono nel trovare un entroterra coltivato, con un paesaggio segnato marcatamente dalla viticoltura e quindi, secondo la loro cultura, “non barbaro” (per i greci la vigna e il vino erano sinonimo di un più alto grado culturale e sociale). Sentono parlare di oinòtra e lo chiamano Enotria.

Marina di Viggiano (Shutterstock)

Gli antichi documenti

Lo dimostra e ne dà prova nei contributi il volume edito dall’Istituto Geografico Militare Fra le montagne di Enotria Forma antica del territorio e paesaggio viticolo in Alta Val d’Agri a cura di Stefano Del Lungo e pubblicato nell’ambito della più ampia ricerca su “l’Enotria, Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri”. Il libro attinge anche ai risultati della ricerca in atto e congiunta (CNR ISPC e CREA VE), che combina la genetica storica all’archeologia attraverso le scienze biologiche (il DNA delle varietà), agronomiche (le qualità ambientali e i caratteri ampelografici) e dell’antichità (la topografia antica delle vallate fluviali, la biodiversità vegetale resa in terracotta e metallo, le cantine in grotta, la documentazione d’archivio a corredo).

Pecorino e altri formaggi, tra le eccellenze di Moliterno (Shutterstock)

Addentriamoci nel territorio

Risalendo controcorrente l’Agri, dalla foce alla sorgente, ci si trova ad affrontare una leggenda metropolitana che vorrebbe la civiltà greca come responsabile dell’aver introdotto nella penisola italica la coltura della vite. I primi coloni nell’VIII secolo a.C., provenienti in maggioranza dalla Grecia continentale, si stabiliscono nelle isole e sulle coste in quanto timorosi di esplorare un’entroterra che, come si narra nell’Odissea, era pieno di mostri, giganti e una natura ostile, oltre che pericoloso e incolto. Ricostruendo con prove concrete e riscontri documentati la cultura e la mentalità di questi coloni, è palese che non andò così, tanto che furono sorpresi dal livello evolutivo della civiltà dell’Enotria, così esperta nel coltivare la vigna e nel produrre un bene primario e fondamentale come il vino, prezioso quanto i ricercati metalli (come ferro e il rame). Attraverso la genetica, le fonti classiche trovano riscontro nelle varietà di vite, recuperate di recente in anni di esplorazione di vecchi vigneti nell’entroterra appenninico, e con risultati sorprendenti.

Cosa “racconta” la viticoltura locale

La circolazione di queste varietà, risalendo le vallate fluviali interne, è intensa nei secoli tra il IX e gli inizi del V a.C. La viticoltura non è accessoria e su di essa si fonda un’economia fiorente, testimoniata anche dai ricchi corredi funerari. Il Massiccio del Pollino, tra la fertile Sibaritide e la vallata del Sinni, diventa uno degli areali di elezione del Sangiovese, originario delle terre messapiche prossime alla dorica Taranto. Prima di intraprendere il suo viaggio verso la Sicilia e di risalire la costa tirrenica lascia una numerosa discendenza tra il Basento e il Sinni. Questa a sua volta è progenitrice di varietà che tra V e IV secolo a.C., grazie ai Lucani e ai Sanniti, percorreranno l’Appennino sino all’Italia centrale.

Veduta dall’alto di Viggiano (Shutterstock)

Il “Sirino”

Ancor più interessante e, per alcuni, sconvolgente è la storia del Sirino, in quanto la colonia di Siris (presso Policoro), di fondazione ionia, dissociatasi dalle città greche vicine,  si espande nell’entroterra verso il Tirreno, chiamando Sirino gli elementi geografici importanti (il fiume maggiore, ora Sinni, e il monte più alto, il Sirino), così come una città collocata strategicamente lungo la via interna tra le coste ionica e tirrenica (Sirìnos, presso Rivello) e la varietà di vite più promettente in quei territori (il Sirino o Serino). Nelle vallate intorno se ne ritrovano i parenti stretti (fra i quali il futuro Aglianico). Fra VI e V secolo a.C. grazie alla colonia ionia di Elea (Velia) nel Cilento prende la via di Marsiglia e con i Greci si diffonde nella media valle del Rodano. A lungo vi mantiene il nome antico, Serine, prima di mutarlo nel moderno Syrah, più esotico ma fuorviante. Ecco quindi che sembra venir meno la teoria che lo vuole nativo della Persia o della Sicilia.

Una grande varietà

Oggi l’Alta Val d’Agri vanta una produzione di vino votata all’esaltazione di una vocazione innata, preservando un contesto vitivinicolo di grande integrità e biodiversità, in cui si alternano varietà rare locali (es.: Aglianico bianco b., Cassano n., Colatamurro n., Giosana b., Iusana b., Malvasia ad acino piccolo b., Plavina n., Santa Sofia b., ecc…) che si stanno riscoprendo e ripropagando e vitigni internazionali che si sono ben acclimatati in questa zona. Una Doc, quella delle Terre dell’Alta Val D’Agri, nata nel 2003, ma che già conta 14 e molte realtà che sono sul punto di aderire. Vini che antepongono l’identità territoriale a quella del vitigno, cercando di mantenere il giusto connubio fra freschezza e struttura, fra eleganza e profondità.

I formaggi d’eccellenza

Vini che ben si abbinano alle eccellenti produzioni casearie locali. Primo fra tutti il Pecorino Canestrato di Moliterno, viene prodotto nel caratteristico centro dell’Alta Val d’Agri, da sempre famoso per la stagionatura dei formaggi. E’ un formaggio prodotto stagionalmente con latte di pecore e capre allevate prevalentemente a pascolo brado. La lavorazione del latte acquista una connotazione particolare per via della pressatura della cagliata fatta a mano all’interno dei canestri – detti localmente fuscelle – da cui l’appellativo canestrato – fino a compattarla.

Nella stessa zona si può trovare anche il famoso Cacioricotta, prodotto stagionalmente a livello locale da latte di capra e/o pecora allevate prevalentemente al pascolo. E’ ottenuto dalla coagulazione termica di latte intero ad acidità naturale, addizionato di siero acido naturale; si può anche impiegare caglio in pasta di agnello o di capretto. Formaggio a pasta cruda lavorato manualmente, è sottoposto a stagionatura naturale e salato a secco.

Una variante famosa del cacioricotta è il casieddu di Moliterno, che viene prodotto con il latte di capra prima della coagulazione, e viene poi aromatizzato con la Nepeta, una pianta che tra l’altro ha proprietà antibatteriche. Il formaggio fresco, di colore bianco e con delicato gusto di erbe aromatiche, è posto in vendita in un involucro di felci legate all’estremità superiore con un rametto di ginestra. Il Casieddu è Presidio Slow Food.

Moliterno (Shutterstock)

Gli altri sapori

Nella zona di Viggiano e della Val d’Agri è diffuso l’allevamento della vacca Podolica, una razza rustica, pare originaria dell’Ucraina, introdotta al seguito delle invasioni barbariche, che ben si è adattata a queste zone e che produce un latte pregiato dal quale si produce il noto Caciocavallo polodico. Ai formaggi si aggiunge, ovviamente, il peperone crusco, presente in svariate preparazioni locali. Tra i legumi è importante segnalare il fagiolo igp di Sarconi, l’unico fagiolo al mondo che tiene una soia saponina che riduce il colesterolo. Se vi state ancora chiedendo se vale la pena organizzare un viaggio di qualche giorno in questi territori e vino e cibo d’eccellenza non bastano sono certo che il fascino e la storicità di luoghi come Grumentum, vi convinceranno. Un vero e proprio gioiello archeologico della Basilicata.

La piccola Pompei lucana

Antica colonia romana, fondata nella prima metà del III secolo a.C., è da molti considerata come la piccola Pompei lucana in virtù dei ricchissimi reperti rinvenuti che ne fanno una delle più importanti aree archeologiche del Sud. E’ in questo luogo che si affrontarono i Romani di Claudio Nerone e i Cartaginesi guidati da Annibale che, nonostante i mastodontici elefanti, uscirono sconfitti dallo scontro. Il teatro di epoca augustea, i templi, la domus e tutte le evidenze archeologiche costituiscono un eccezionale esempio del livello di romanizzazione raggiunto in Lucania.

Per proseguire nel percorso archelogico dell’Alta Val d’Agri, non vi resta che prenotare una visita al Museo che sorge a ridosso dell’Area Archeologica. Qui troverete prestigiosi reperti, tra cui la testa marmorea di Livia, moglie di Augusto. Il Museo è diviso in 2 aree, una inerente l’epoca preromana e l’altra riguardante il periodo romano. Il Museo dispone, inoltre, di una serie numerosa di reperti archeologici collocabili nell’età del bronzo e del ferro. Una vero tuffo nel passato di una terra che vanta una storia di rilievo assoluto ma che è, purtroppo, ancora poco conosciuta.

Da par mio l’Alta Val d’Agri e le sue terre mi avevano già convinto con la loro attinenza alla storia dell’antica Enotria e con l’integrità dei suoi paesaggi odierni, ma più approfondisco la conoscenza di quest’area più mi rendo conto di quanto sia ricca di eccellenze da offrire e proporre sia dal punto di vista enogastronomico che dal punto di vista storico-artistico. Un areale che vale il viaggio.

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Scritto da: redazione

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