Bob Dylan al Maxxi con Restrospectrum (fino al 30 aprile 2023) proietta Roma in una dimensione internazionale, in quanto a eleganza di circuiti poco scontati e vibranti. La mostra ha infatti debuttato al MAM di Shanghai e solo successivamente negli Stati Uniti, al Patricia and Phillip Frost Art Museum di Miami, per arrivare in Italia in forma condensata, ma potentissima, nella curatela di Shai Baitel.
Dylan emerge come un autore poliedrico non solo nell’evidenza dei mezzi espressivi a disposizione, musica, poesia, cinema, arti visive, ma anche nella versatilità del segno grafico, materico e plastico. Retrospectrum – mezzo secolo di attività raccolta in 8 sezioni – rivela e delinea infatti il disegnatore, il pittore e lo scultore, ma in ciascuna di queste discipline (con l’eccezione forse della sola scultura, omogenea e codificata) Dylan attinge a stili e stilemi di varia gamma.Nonostante la notorietà globale e la collezione di premi blasonati (i premi sembrano ormai dargli la caccia, da decenni) Dylan resta un autore umile.
L’umiltà
Lo sono le sue opere, probabilmente più della persona, essendo l’umiltà una dote imponderabile e ontologicamente indipendente. Umile e pure sgobbone; anche quando cita sé stesso – come nella serie Mondo Scripto – dove i testi delle sue canzoni sono affiancati da disegni in libera associazione concettuale senza traccia di edonismo. E’ il caso di “Like a Rolling Stone” con accanto un disegno/citazione di Hippolite Delaroche, “Napoléon a Fontainebleau”, ad esempio.
Mondo Scripto è una sorta di esercizio talmudico, con la calligrafia che diviene rituale e paziente tessitura di segni.
Un segno capace di metamorfosi, dalla grafite alla tela: qui la tavolozza dell’autodidatta capovolge aspettative e preconcetti, rivelandosi laboratorio quasi virtuosistico.
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