Meet Me in the Bathroom è il libro della giornalista Lizzy Goodman, pubblicato nel 2017, che racconta la scena rock di New York a cavallo tra la fine degli anni 90 e i primi 2000 attraverso le voci dei suoi protagonisti. Negli Stati Uniti è uscito l’omonimo documentario diretto da Dylan Southern e Will Lovelace. Si parla di giovani band rock all’inizio del terzo millennio, ma Meet Me in the Bathroom comincia con i versi del padre della poesia americana, Walt Whitman, che canta delle «folle di Manhattan, con il loro turbolento coro musicale!». New York: la città che a fine secolo è un ricordo sbiadito di quel punto nevralgico avanguardista degli anni Settanta. New York e le sue ferite devastanti dell’11 settembre 2001.
Brooklyn
È in questo sfondo dinamico che prendono vita le carriere di gruppi nati tra i locali e gli affitti a basso costo di Brooklyn, inconsapevoli di vivere il preciso momento in cui niente sarà più come prima: sia per la musica, sia per la storia. Prima, quindi, dell’attentato al World Trade Center, dei social network, degli smartphone con fotocamera incorporata. Nel frattempo, il mondo cambiava in fretta: nel 2001 facevano il loro esordio l’iPod e Wikipedia, a Genova si teneva il G8, Napster è costretta a chiudere i battenti.Le immagini dei membri degli Interpol che vagano spaesati tra la polvere e i fogli volanti nei momenti successivi alla caduta delle torri Gemelle è emblematica di tutto questo, ma Meet Me in the Bathroom è un documentario che tenta di imprimere su pellicola anche quella frenesia che il cambio di secolo stava generando. E, allora, ecco gli Yeah Yeah Yeahs, trio capitanato dalla cantante Karen O, una mosca bianca nell’ambiente quasi tutto al maschile del rock di quel periodo. E, poi, lo stile degli Strokes, l’eleganza austera dei sopracitati Interpol, l’eclettismo degli Lcd Soundsystem, l’euforia dei Rapture e l’anti-folk dei navigati Moldy Peaches; l’art rock dei Tv on the Radio e le sperimentazioni dei Liars.
Il documentario, così come il libro, riesce nell’intento di catturare un momento di grande libertà artistica, favorita da un rinnovamento culturale che ha finito col riverberarsi in tutto il mondo, a partire dal Regno Unito, dove una schiera di band emergenti era rimasta folgorata dai concerti degli stessi Strokes: non è un caso che quasi due decenni dopo un brano degli Arctic Monkeys sarebbe iniziato con l’emblematico verso «volevo solo essere uno degli Strokes».
Pur se, per forza di cose, non dettagliato come il volume di Goodman, Meet Me in the Bathroom riconsegna a tutti gli appassionati di quella musica quasi due ore ad alto rischio nostomania e, con molta probabilità, il ricordo di un ultimo afflato di spensieratezza prima che crisi economiche e, più in là, pandemiche avrebbero contraddistinto l’inizio del nuovo millennio. Per chi, invece, ancora non c’era, il documentario rappresenta l’occasione per immergersi in un momento storico di passaggio, vicino eppure, allo stesso tempo, così lontano.
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