Rocco Hunt è il classico che “si è fatto da solo”, come lui stesso rivela durante una recente intervista al Corriere della Sera. Cresciuto in una casa umida, con la muffa alle pareti dove però ha scritto le canzoni più belle, ha dovuto pagarsi da solo tutto quello che ha creato agli esordi della carriera. Il padre non gli ha mai fatto mancare niente, ma i soldi non bastavano mai a casa. E così Rocco si è trovato a fare il pescivendolo nella bottega di zio Franco, dai 15 ai 17 anni. Un periodo non facile, vista l’età e se paragonato con la vita degli amici: “Mi svegliavo anche alle quattro di mattina, se c’era il mercato. E quando uscivo incontravo i miei amici che tornavano dalla discoteca, che invidia”.
Quei soldi, però, poi li hai fatti fruttare perché è così che ha prodotto il suo primo video. La clip in un mese ha fatto 40.000 visualizzazioni ed è arrivata la chiamata della Sony. Per lui la musica è stata una salvezza, con tanti di quegli amici di cui sopra che hanno preso una strada sbagliata che “hanno pagato con il carcere o con la vita”. Una strada che “avrebbe potuto inghiottire anche me, è stata dura, ma le difficoltà mi hanno dato forza, una marcia in più. La nostra era una famiglia umile ma pulita, di lavoratori. Mi ha salvato”.
La vittoria a Sanremo giovani è arrivata quando ancora era un “bambino” e nel 2016 è stata la volta di passare nella categoria dei Big. Quella volta non è andata come sperava: “Cantavo Wake up, in radio era andata subito forte, ero convinto di piazzarmi tra i primi tre, invece sono arrivato nono, non me lo aspettavo e ci sono rimasto male”. E in quel momento sono arrivati i dubbi, quelli veri, quelli che ti fanno pensare se sia il caso di mollare tutto.
Per fortuna però non l’ha fatto: “Ho fatto pace con me stesso dopo due anni confusi. Ero in crisi di identità, non sapevo ancora che la strada presa era quella giusta. Volevo fare rap puro, ma la gente voleva altro. Un sacco di rapper vanno in crisi quando diventano troppo pop”. E infine quella curiosità, la richiesta di scrivere l’inno del Napoli. Richiesta a cui ha risposto di no: “Sarebbe stato un grandissimo onore ma era più giusto che lo facesse un napoletano doc, che se lo sente sulla pelle”.
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