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Full Monty: “Vecchi a chi?” Il ritorno del mito nella serie tv

today10 Luglio 2023 6

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Squattrinati, ma (allora) organizzati, al punto da far tendenza, diventando poi un caso cinematografico assoluto.

The Full Monty, il film diretto nel 1997 da Peter Cattaneo, ha fatto storia, non solo nel ricevere quattro nomination agli Oscar, vincendo una per la colonna sonora brillante, andata ad Anne Dudley, aprendo semmai la strada nell’universo narrativo maschile, attraversando storie in cui mixare riflessione sociale, ironia e tanto umorismo.

IL FILM

Sei uomini disoccupati, ex operai siderurgici, a caccia di qualcosa, di una svolta, per sbarcare il lunario e far soldi, si lanciarono dunque in un’ impresa (quasi) impossibile: esibirsi, mettendo in mostra i rispettivi corpi (imperfetti), avvolti però, com’erano da tanta voglia di riscatto. Per una sera. Era il “servizio completo”, via tutto, con il sottofondo della canzone di Joe Cocker, You Can Leave Your Hat On, e prima ancora della hit di Donna Summer, Hot Stuff, nella memorabile scena della fila all’ufficio di collocamento. Un successo sul grande schermo e al botteghino, ma anche antropologico e culturale, pensando al luogo, il Nord Inghilterra post Margaret Thatcher, e a come poi il cinema ne abbia comunque ereditato l’azzardo e l’esempio narrando altri protagonisti ambiziosi, eppure fragili, in crisi d’identità, come in Magic Mike, trasformatosi successivamente in un vero fenomeno con altri seguiti e in un reality show.

LA SERIE TV

Da quella brillante avventura che fu però appunto Full Monty, si arriva adesso alla serie comedy-drama (in onda dal 5 luglio su Disney+) ambientata 25 anni dopo l’originale. Riecco i protagonisti: c’è Gaz (interpretato da Robert Carlyle), Dave, Jean, Guy, Horse, Lomper e Gerald (il sempre grande Tom Wilkinson), quegli aspiranti ex spogliarellisti, che ora vivono nella città post-industriale di Sheffield, destreggiandosi nei più fatiscenti settori della sanità, istruzione e impiego. Sono gli stessi “eroi della classe operaia” di una volta, forse più malconci e problematici di prima, intenti, a fare i conti non solo col tempo che passa, ma anche sull’essere, o non, dei buoni genitori e padri, sulle occasioni mancate, sulle avversità agrodolci del presente. Uomini e coppie, tra alti e bassi, tra chi li incita a esibirsi nuovamente: “ma ci hai visto?” gli dice qualcuno, tra il desiderio di mettersi meno (letteralmente) a nudo, quanto invece di svelarsi nelle loro rispettive e complicate instabilità emotive e umane.

Basta con prove di ballo sconclusionate, perché la differenza di questa versione 2.0 di Full Monty, sta invece in una consapevolezza diversa, dettata semmai dall’esperienza (o inesperienza a seconda dei casi) di questi uomini.

Ne seguiamo (per ognuno episodio) il trambusto quotidiano che li circonda, la loro rete sociale, il lavoro precario. E’ un viaggio scandito ancora da sogni irrealizzati, da sfortuna, da inadeguatezza, di new entry, come per Gaz, con la figlia Destiny, adolescente un po’ disinnamora di se stessa e ribelle, tanto quanto lo era lui.

La serie, però, si espande, aggiorna i vissuti attraversando tematiche oltremodo moderne, l’inclusione, il bullismo scolastico, il sistema di immigrazione, spostando l’attenzione su un contesto, piuttosto che sui singoli, su una città preda ancora “di disperati”, a caccia di riscatti più profondi.

Si ride, e tanto, ma nell’onestà degli sguardi della vecchia band, avvistiamo la contemporaneità dei limiti che noi non vogliamo accettare, e che alla fine sappiamo che, prima o poi, verranno a galla.

E forse c’è spazio per un ultimo spettacolo: quello della vita.





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Scritto da: redazione

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