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Sostenibilità

Quando la natura fa paura, il rapporto di Wmo

today19 Luglio 2023 8

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11.778 disastri naturali dal 1970 al 2021, danni economici per 4.300 miliardi di dollari e 2 milioni di vittime, di cui il 90% in Paesi in via di sviluppo. Questi sono i dati dell’Atlante della Mortalità e delle Perdite Economiche dovute ai pericoli meteorologici, climatici e idrici presentato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Wmo).

L’organizzazione sottolinea come il progresso negli avvertimenti precoci e nella gestione coordinata delle catastrofi abbia ridotto il numero delle vittime negli ultimi cinquant’anni.

I decessi registrati per il 2020 e il 2021 (22.608 in totale) indicano una diminuzione della mortalità rispetto alla media annuale del decennio precedente.

Sotto il profilo economico, gli Stati Uniti da soli hanno subito perdite per 1,7 trilioni di dollari, pari al 39% delle perdite economiche mondiali nei 51 anni. I Paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo hanno subito danni di gran lunga minori in termini assoluti, ma, come sottolinea ambientenonsolo.com, del tutto sproporzionati rispetto alle dimensioni delle loro economie.

Più nello specifico, le economie sviluppate hanno registrato oltre il 60% delle perdite economiche dovute a disastri meteorologici, climatici e idrici. In queste zone, oltre l’80% delle catastrofi ha generato danni economici equivalenti a meno dello 0,1% del prodotto interno lordo (Pil).

Situazione diversa nei Paesi meno sviluppati, con vari disastri che hanno causato perdite economiche fino a quasi il 30% del Pil. Il 7% dei disastri per i quali sono stati segnalati danni economici ha avuto un impatto equivalente a oltre il 5% dei rispettivi Pil.

La situazione precipita vertiginosamente negli stati insulari in via di sviluppo dove il 20% dei disastri con perdite economiche ha portato danni pari a oltre il 5% dei Pil nazionali, con alcuni disastri che causano perdite economiche superiori al 100% del prodotto interno lordo degli Stati colpiti.

I disastri naturali dal 1970 al 2021 nei vari continenti

L’Atlante della Mortalità e delle Perdite Economiche dovute ai pericoli meteorologici, climatici e idrici di Wmo riporta i dati relativi al periodo 1970-2021.

In questo periodo, in Europa 1.784 disastri hanno causato 166.492 morti e perdite economiche per 562 miliardi di dollari. Tra il 1970 e il 2021, l’Europa ha rappresentato l’8% dei decessi registrati nel mondo a causa dei disastri naturali. Le temperature estreme sono state la causa principale dei decessi e le inondazioni sono state la causa principale delle perdite economiche. Il susseguirsi di nuovi record di caldo e l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna a maggio, sono solo i più recenti esempi.

In Africa, tra il 1970 e il 2021 sono stati segnalati 1.839 disastri attribuibili a condizioni meteorologiche, climatiche e idriche estreme. Questi hanno causato 733.585 morti e 43 miliardi di dollari di perdite economiche. La siccità ha causato il 95% dei decessi.

Nello stesso periodo il continente asiatico ha registrato 3.612 disastri attribuiti al tempo, al clima e alle acque estreme, con 984.263 morti e danni all’economia per 1,4 trilioni di dollari. Tra il 1970 e il 2021, l’Asia ha rappresentato il 47% dei decessi segnalati in tutto il mondo, i cicloni tropicali sono la causa principale di decessi. Un esempio è quello de Le
Filippine, tra le dieci regioni al mondo più esposte al rischio di catastrofi naturali. L’8 novembre 2013 la tempesta tropicale Haiyan distrusse le fonti di sostentamento di sei milioni di bambini. La tempesta Haiyan fu tra le più devastanti di sempre spazzando via villaggi, ospedali e scuole. L’uragano rase al suolo case, demolì linee elettriche e distrusse i sistemi di comunicazione. Le vittime, tra i feriti e chi non ce l’ha fatta, ammontano a diverse migliaia, ma non si è mai riuscito a fare un conteggio preciso dei danni.

In Sud America ci sono stati 943 disastri attribuiti a cause naturali, con le inondazioni che rappresentano il 61% del totale. Hanno provocato 58.484 morti e 115,2 miliardi di dollari di perdite economiche.

In America del Nord, America Centrale e Caraibi si sono verificati 2.107 eventi che hanno provocato 77.454 morti e danni per 2 trilioni di dollari. La maggior parte delle perdite economiche sono state attribuite alle tempeste e, più specificamente, ai cicloni tropicali. Tra il 1970 e il 2021, la regione ha rappresentato il 46% delle perdite economiche registrate in tutto il mondo. I soli Usa, nel periodo analizzato, hanno subito perdite per 1,7 trilioni di dollari, pari al 39% delle perdite mondiali.

In Oceania ci sono stati 1.493 disastri naturali che hanno provocato la morte di 66.951 morti e 185,8 miliardi di dollari di danni economici. Qui, i cicloni tropicali sono stati la principale causa di morte.

Le prospettive e le difficoltà dei Paesi più poveri

Il segretario generale dell’Organizzazione metereologica mondiale Petteri Taalas commenta così il rapporto: “Le comunità più vulnerabili purtroppo sopportano il peso maggiore dei rischi meteorologici, climatici e legati all’acqua. La tempesta ciclonica estremamente violenta Mocha ne è un esempio. Ha causato vaste devastazioni in Myanmar e Bangladesh, colpendo i più poveri tra i poveri. In passato, sia il Myanmar che il Bangladesh hanno subito decine e persino centinaia di migliaia di vittime”.

Poi sottolinea il ruolo salvifico degli allarmi precoci e dei sistemi di gestione dei disastri: “questi tassi di mortalità catastrofici sono ora per fortuna storia passata. Gli allarmi precoci salvano vite”. I numeri testimoniano che questi sistemi salvano vite umane e garantiscono un rendimento degli investimenti almeno decuplicato.

Sulla stessa linea d’onda il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, il quale vuole garantire che ogni persona sulla Terra sia protetta da sistemi di allarme rapido entro la fine del 2027.

La grande sfida riguarderà proprio i Paesi più poveri, nonché più colpiti dai disastri naturali: al mondo solo la metà dei Paesi dispone di sistemi di allarme rapido e la copertura è molto bassa nei Piccoli Stati insulari in via di sviluppo, nei Paesi meno sviluppati e nel continente africano.



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Scritto da: redazione

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