Quando si leggono le autobiografie non si dovrebbero emettere giudizi di sorta. Si fa nella maggior parte dei casi come con degli amici che ripercorrono tracce della propria vita. Le si ascolta in silenzio. E Bono posso dire di conoscerlo da molti anni. Metaforicamente s’intende.
“Noialtri soli”
Cresciuto negli anni ‘70 in Irlanda il suo temperamento ha in sé tutti gli elementi selvaggi del paesaggio dal quale proviene. Guardando all’America con l’immaginario europeo, a suo modo, come prima di lui avevano fatto David Lean, John Ford e Frank Capra, ritroviamo fra le pagine le ispirazioni dai totem dei caratteri di Kojak e di Colombo. Paul, il ragazzo di Dublino che pensa che superare i 27 anni per chi decide di diventare un cantante equivale in un certo senso a dover scadere come latte, espone in bella vista il marchio di un Unforgettable Fire come leit motiv di una vita gridata fino a strozzare la propria voce. Con questo libro invece sceglie di concedere molto di sé, il privilegio di non essere frainteso, offrendo i codici per una corretta versione della sua storia. Raccontare di chi resta e di chi se ne andato, nostro malgrado. “Gli uomini e le donne che caddero sulla terra” (Surrender, pag. 31)
Il libro si chiama semplicemente Surrender, edito in Italia dalla Mondadori. È suddiviso in capitoli intitolati come 40 delle canzoni degli U2. L’elemento che potrebbe sconcertare in un certo senso la visione che i fans del frontman del gruppo hanno imparato a conoscere come l’uomo che ha “fame d’aria” sta proprio nel titolo: Arrendersi. Ma è un sentimento inteso come accezione epica. Liberare la propria coscienza, assecondare qualche volta il proprio perturbare. Arrendersi vuole dire lasciarsi andare finalmente a sé stessi anche alle passioni da cui si è divorati. Anche quando si tratta di una fra le più feroci; la rabbia.
La lunga strada verso casa
Leggendo la sua vita descritta all’inizio in maniera frastagliata, in un costante flusso di coscienza, si ha l’impressione che sia un upgrade dell’Ulysse diviso a metà fra quello di Joyce e l’uomo di Omero, anche se a volte finisci col credere che vorrebbe assomigliare di più alla versione che ne aveva restituito Dante; un’anima che si perde definitivamente, scegliendo di non fare mai più ritorno a casa. Con questo viaggio Bono vira, approdando ad una personale declinazione di Itaca, che lo porta a mostrarsi inesorabilmente come Paul David Hewson. Il racconto di chi ha imparato a sopravvivere alla Tempesta, anche quando siamo noi stessi, spesso, a essere la Tempesta. “Se sei al posto giusto nel momento giusto incontri chi devi incontrare” (Surrender, pag. 93).
Paul David Hewson, racconta la Gente di Irlanda. Di Iris, sua madre, perduta cosi presto, che diventa sul palco senza rendersene conto, la Musa che orienta la rotta come Stella Polare. A lei si accorge di rivolgere tutte le sue parole, per lei canta. Parla di suo padre, con il quale ha finalmente fatto pace. Canta di Ali, sua moglie come di Euridice che ha salvato Orfeo dalle tenebre di sé stesso e non il contrario.
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