«If you can’t beat them/ Join them». Se non puoi batterli, unisciti a loro, cantavano i Queen alla fine degli anni Settanta. Concetto che inquadra benissimo le trattative in corso tra Alphabet Google e Universal Music sull’utilizzo delle voci e dei repertori degli artisti del roster della prima major discografica al mondo per la generazione mediante intelligenza artificiale di canzoni deepfake da parte degli utenti del web. Secondo quanto rivela il Financial Times, sono in corso colloqui tra le due aziende che puntano a una vera e propria partnership sul versante dell’Ai.
È noto che l’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa ha portato a un’impennata di canzoni deepfake, con l’algoritmo che imita in modo convincente voce, testi e sound di artisti affermati, quasi sempre senza il loro consenso. La voce di Frank Sinatra è stata per esempio utilizzata per una improbabile cover della canzone hip-hop Gangsta’s Paradise, così come abbiamo sentito il fuorilegge del country Johnny Cash cimentarsi con Barbie Girl. Un utente di YouTube chiamato PluggingAI, ancora sul versante rap, ha riportato in vita i compianti Tupac e Notorious B.I.G. Tutto questo senza che i diretti interessati o chi ne gestisce l’eredità abbiano voce in capitolo. Casi di scuola quelli di Drake e The Weeknd che, dopo il successo di streaming spropositato dei loro fake, hanno chiesto e ottenuto la rimozione dei brani realizzati con l’Ai che li imitavano.
Secondo quanto rivela Ft, le discussioni tra Google e Universal Music sono in fase iniziale, il lancio del prodotto non è imminente, ma l’obiettivo sarebbe proprio sviluppare uno strumento che consenta ai fan di creare legittimamente questi brani e pagare diritto d’autore e diritti connessi ai detentori. Gli artisti avrebbero la possibilità di scegliere se aderire o meno all’iniziativa. Anche Warner Music, sempre secondo Ft, starebbe trattando con Alphabet Google una soluzione simile.
L’impatto dell’intelligenza artificiale sulla musica assomiglia un po’ a quanto accadde nei primi giorni di YouTube (piattaforma nel frattempo diventata di proprietà di Google), quando gli utenti iniziarono a caricare canzoni popolari come colonne sonore ai video che creavano. La discografia provò per anni a far la guerra a YouTube per violazione di copyright, poi alla fine le due parti hanno stabilito un sistema di collaborazione che oggi paga all’industria musicale circa 2 miliardi di dollari all’anno a livello globale per i video generati dagli utenti. Un’esperienza della quale non si può che fare tesoro.
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