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Sergio Castellito: “Io, attore tenuto in piedi dal panico”

today7 Settembre 2023 3

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Sergio Castellitto è l’Interprete con la I maiuscola, davvero potrebbe fare qualunque cosa, e ci riesce. Porta con sé una fiamma perenne di passione, speranza ed eccellenza, la stessa che è riuscito a calibrare oltre i confini del cinema d’autore, nei linguaggi più mainstream, nelle metamorfosi più coraggiose (è stato Enzo Ferrari, Don Milani Padre Pio, Fausto Coppi, Aldo Moro, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Gabriele D’Annunzio), nei progetti più bizzarri e lontani (ad esempio ne Le Cronache di Narnia: Il principe Caspian), arrivando ogni volta a conquistarsi la stima e il rispetto di chi lo ha diretto. Una lista immensa: da Rosi a Scola, da Bellocchio a Gianni Amelio, fino al figlio Pietro, che qualche giorno fa ha presentato il suo secondo lavoro da regista, Enea, nel quale interpreta proprio il padre, e presentato in concorso alla Mostra di Venezia in atto. Un sodalizio privato, professionale, poi, con Margaret Mazzantini, conosciuta a teatro in quel di Genova recitando Čechov, ma che negli anni è diventata moglie, madre dei suoi figli, Pietro, Maria, Cesare e Anna, e oltremodo una fonte di ispirazione (e collaborazione) per alcuni dei lavori più belli invece da regista, da Non ti muovere, a Venuto al mondo e Il materiale emotivo.

Iniziamo dal Premio Bianchi, assegnato dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani
“Un onore, un premio importantissimo e prestigioso, basterebbe guardare l’albo e si rabbrividisce, c’è la storia del cinema italiano. Io ho sempre pensato che i premi sono una gioia quando li ricevi, un privilegio, che però va sempre rilanciato. Per cui, per gioco, direi che i premi te li devi meritare un anno dopo che te li hanno dati. Se tra un anno me lo sarò ancora meritato me lo tengo, altrimenti lo riconsegno”.

Più di 40 anni di carriera
“Hai bisogno che qualcuno ti ascolti e ti guardi, inizia da una mancanza che hai dentro, perché l’attore, a differenza di altri mestieri, ha il desiderio insito di apparire e farsi vedere. Attore è un modo per dire la propria opinione, sposa un progetto piuttosto che un altro. Poi il panico ti tiene in piedi. Ad un certo punto ho cominciato a fare il regista, ma non c’era differenza con l’interpretazione, e lì mi sono accorto che l’attore l’ho sempre fatto, conservando sempre una grande indipendenza. Manuel De Oliveira diceva bene di Mastroianni, che era un attore docile senza essere servile, che non si piegava di fronte ad un regista”.

Lo scorso 18 agosto ha compiuto 70 anni, toccando i 100 film (sono anche i 30 da Il grande cocomero), tra cinema e tv. Da qui si riparte e magari ci si scopre ancora di più, non crede?
“Ci sono film sbagliati, rifiutati, quelli che non hai voluto fare e sono andati bene, quelli che hai accettato e magari non hanno ricevuto buoni risultati. Una cosa li accomuna: tutti stabiliscono tua personalità, per questo non credo nelle carriere integerrime. Gli anni ti riconsegnano la consapevolezza di vivere intensamente il privilegio di aver fatto un lavoro come il mio, gli anni ti insegnano, se non cadi nella trappola dell’acidità dell’esistenza, a godere, se vuole, con una certa lentezza, nel senso buono della parola. E poi, il sentimento che mi fa più piacere raccontare, è il fatto di vedere i miei figli che, in qualche misura, rilanciano una loro indipendenza di libertà, di visione della vita, del cinema, in maniera così personale. Mi fa molto piacere: vuol dire che Margaret ed io abbiamo seminato qualcosa di sano”.

E sul Pietro regista, come lo possiamo definire?
“Sono di parte, però sono anche intellettualmente onesto. Penso sia oggettivo che abbia un talento personale, è molto attento anche non soltanto al sua visione delle cose, ma alla necessità di arrivare a raccontare per gli altri. È una cosa molto bella. Quindi, che dire, sono onorato di essere il papà”.





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Scritto da: redazione

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