Finalmente l’Alba! Non è solo l’ultimo film di Saverio Costanzo (suo compagno dal 2010, ndr), passato in concorso alla Mostra di Venezia dove Alba Rohrwacher partecipa, e che sente molto vicino, ma sembra davvero un punto esclamativo di sorpresa, stupore, di conferma, ogni qual volta lei va in scena, ogni volta che decide di raccontare una storia o abbracciare un ruolo d’attrice.
È un sentimento di liberazione e devozione (per lei) e di piacere (per noi spettatori) nel vederla recitare, nel capire, ascoltandola, che tipo di processo interiore ci sia (o avverta) durante un certo tipo di esperienza, e come in 20 di carriera e quasi 60 progetti, sia sempre riuscita a lasciare una traccia, un motivo.
Ha lavorato con i migliori d’altro canto, nel cinema, da Alice Rohwacher, anche nella sua ultima creatura vista a Cannes, La Chimera, a Pupi Avati (Il papà di Giovanna le fece vincere la Coppa Volpi a Venezia), a Nanni Moretti, Silvio Soldini, Marco Bellocchio, Matteo Garrone, Emma Dante, passando intensamente nella tv (vedi L’amica geniale). Si è sempre esposta, ma con eleganza e discrezione, manifestando personalità e attivismo artistico.
La incontriamo una mattina per l’altro titolo che ra in lizza per il Leone d’Oro, Hors-Saison (uscirà presto in sala distribuito da I Wonder Pictures) diretto da Stéphane Brizé, uno dei grandi maestri contemporanei, al fianco qui di Guillaume Canet, altro volto-icona del cinema transalpino. Un progetto, un personaggio, quello di Alice, ammette, “nel quale si è persa”.
La storia racconta di un attore affermato e di successo, Matheiu (interpretato dallo stesso Canet), 50 anni, che vive in Francia, insoddisfatto nel leggere anche di sé, in cerca, come dire, di un nuova prospettiva riguardo alle cose, a ciò che lo circonda, che cerca di far pace con (chissà) un passato e un presente. Lei, invece, Alice, (la Rohrwacher), che ha 10 anni meno di lui, è una insegnante di pianoforte, vive in una piccola cittadina vicino al mare, nell’ovest della Francia. Si sono amati, ben 15 anni prima, per poi separarsi, l’uno dalla vita dell’altro. Nel ritrovarsi (quasi) per caso, nella medesima cittadina, riaccendono d’un tratto le rispettive malinconie, una fiamma che credevano spenta, facendo i conti pensando alle proprie strade, alle ferite di quella rottura, mai rimarginate, sempre vive e presenti.
“Mi porto a casa un incontro della vita, con una grande maestro”, ci racconta la Rohwacher, “capace di reggermi e di permettersi di osare, di andare oltre qualche cosa che è il controllo, la zona confort e di protezione e quindi di sentire la paura, ma di superarla, le sentivo le sue mani che sapevano tenermi, e poi con Guillaume Canet, una persona incredibile, piena di umanità e gentilezza, talenti rari. È stata come una parentesi di emozioni, molto precisa e che secondo me rimane. Anche perché alla fine non sai mai se le cose che fai rimarranno”.
Le conseguenze di certe scelte, della recitazione, che per Alba Rohrwacher coincidono con qualcosa di più profondo, da portarsi a casa in termini di lezione e appunto di esperienze umane, e artistica. Lei non si nasconde, anzi lo conferma.
“Mi sento fortunata nell’essermi riconosciuta in un lavoro. Ad un certo punto della mia vita ciò a cui io tendevo corrispondeva ad un mestiere: l’ho cercato, ho faticato, ho studiato tanto, ma tanto. Quello che uno è deriva anche dagli incontri che fa. Io ho una radice mia, ma poi divento ciò che è stata la mia vita di incontri. Perché io studiavo medicina, chissà… sarei potuta diventare un medico, non sentivo però una corrispondenza. Anni fa avevo fatto un parallelismo tra entrambi gli ambiti, recitare e la medicina, hanno comunque a che fare con il corpo”. E con le relazioni, le sottolineamo. E quando le danno della perfezionista? “Da una parte mi fa felice, dall’altra mi imbarazza, come mi imbarazzo spesso. Il luogo dove mi sento al sicuro è il luogo del lavoro, mi piace parlare di quello, piuttosto che di tutto il resto”.
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