“Meravigli la gente” dice Sean Penn a David Byrne in una scena di This Must Be the Place, il film di Paolo Sorrentino uscito nel 2011. L’intenso incontro impresso nella pellicola del regista napoletano rischiava di avere luogo nella vita reale già ventotto anni prima. Nel dicembre 1983 a Los Angeles, a distanza di qualche giorno, Sean Penn riceveva un premio come giovane promessa del cinema e i Talking Heads facevano tre concerti che sarebbero stati sintetizzati l’anno successivo in Stop Making Sense di Jonathan Demme, considerato da molti critici il miglior film concerto mai realizzato.
Speaking in Tongues
I musicisti che lo mettono in scena sono reduci dalle registrazioni di Speaking in Tongues, un album che ha per titolo la traduzione inglese del termine greco ‘glossolalia’ e che, infatti, come ricorda Byrne, ha preso vita da “riff improvvisati e voci in un gergo incomprensibile come guida alla scrittura dei testi”. A dispetto di tutto ciò, il disco è talmente diretto da diventare il primo vero successo di una band nata con propositi tutt’altro che commerciali. È merito soprattutto del brano di apertura Burning Down the House, che entra nella top ten della classifica statunitense. Ad affascinare i Talking Heads sembra essere la possibilità di comunicare senza farlo: gli esseri umani di Making Flippy Floppy sono schegge impazzite in cerca di significati, Girlfriend Is Better infiamma la pista da ballo, mentre il ritornello di Slippery People è la messinscena delle funzioni pentecostali, con predicatori esaltati e fedeli infervorati. In I Get Wild/Wild Gravity le coordinate geografiche portano in Jamaica e il brano che apre il lato B, Swamp, è un blues che fa dubitare di aver messo sul piatto il disco giusto.
Moon Rocks
Ma basta aspettare la successiva Moon Rocks per ritrovare lo stesso funk tribale che agita Pull Up the Roots. Su tutto, aleggia la prima canzone d’amore mai scritta da David Byrne: la dolce e poetica carezza di This Must Be the Place.Se Speaking in Tongues fotografa una band in uno dei suoi momenti migliori, Stop Making Sense alterna il look neutro dei musicisti a luci che declinano il bianco in tutte le sue sfumature. Il teatro giapponese agli spettacoli di danza balinesi, piattaforme scorrevoli a cambi palco illuminati perché intesi come parte integrante dello spettacolo. Byrne assorbe i passi di Fred Astaire, balla con una lampada a stelo, indossa il famoso abito grigio larghissimo, entra in scena con chitarra acustica e mangiacassette per una curiosa versione di Psycho Killer. Insomma, nelle sue stesse parole, è il motore di uno spettacolo che rappresenta “la cosa più ambiziosa che avessi mai tentato”.
Infatti, ecco che, quarant’anni dopo, i Talking Heads si riuniscono al Toronto Film Festival per una sessione di domande e risposte condotta dal regista Spike Lee. L’evento celebra il ritorno al cinema di Stop Making Sense, restaurato per l’occasione in 4k. Il film e la sua colonna sonora, ripubblicata da poco in versione deluxe, concretizzano le parole di Sean Penn.
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