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Crepet: “Se ascolti trap ti droghi”. Ma se parli così non capisci

today4 Dicembre 2023 2

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In Italia va di moda pensare che se parli di una cosa brutta o problematica poi quella accade, e ti accade addosso. Quindi nel dubbio mai capirla, meglio sentenziare, giudicare mostrando così di prenderne le distanze. L’onda di indignazione che ha impattato sul Paese spinta da ira e dolore per il terribile femminicidio di Giulia Cecchettin ha prodotto una sorta di caccia alle streghe. Dove la strega è uno stregone con gli inserti d’oro nei denti, i modi e i marchi tamarri nell’abbigliamento vistoso addosso, i tatuaggi ovunque fin sulla faccia e testi che grondano malessere esistenziale, dettagli crudi e sì, machismo. Ha cominciato l’attrice Cristiana Capotondi, e ora di rimbalzo in rimbalzo fra editoriali e talk show ecco la sparata dello psichiatra Paolo Crepet che su La 7 sentenzia che “trap vuol dire droga, chi ascolta quella musica diventa drogato”. Alé, ci risiamo.

La polemica fra Crepet e Frankie hi-nrg: il video (fonte: La 7)

Confondere la realtà con la fotografia di uno scenario

Torna quindi, con la consueta superficialità incompetente da talk show, la reprimenda con una tremenda voglia di censura su tutte quelle forme d’arte e di creatività che rappresentano i lati peggiori dell’essere umano, che fanno la fotografia di realtà disagiate, feroci e involgarite come quelle che l’hip hop frequenta dalla sua nascita. Che lo stile trap sia uno dei più provocatori non c’è dubbio, ma non è che i Public Enemy ci andassero piano quando rappavano My Uzi Weights A Ton o LL Cool J ricorresse a mezze frasi e mosse sul palco quando coinvolgeva schiere di ragazzini intonando I Need Love. Però siccome si muore, si spara, si sta male nei quartieracci di periferia, allora cantarlo o rapparlo significa far diventare la brava gente cattiva. Ascolti un testo ed ecco che ti droghi, spari, spacci, stupri. E’ l’eterna confusione dell’effetto con la causa, della fotografia della realtà con la realtà stessa.

Come si stava meglio quando si stava peggio

Qualcuno invoca i begli anni in cui le canzoni provocatorie le firmavano Guccini e De André, come se questi grandi autori non raccontassero l’ipocrisia sociale, il fascino perverso dei sobborghi e dei vicoli scuri del porto dove succedeva di tutto, di amori finiti con le vene tagliate e di poco più che bambine spinte a prostituirsi per vecchi professori moralisti che prima andavano a supplicarle di stare con loro la notte e poi il giorno successivo le chiamavano “specie di t…” (fatto per cui Faber fu denunciato e dovette cambiare il testo). Ma si sa, gli anni passano, la voglia di capire il mondo attorno diminuisce e quindi ecco la bastonata dei benpensanti. Ai tempi de La dolce vita (che si apre con l’agghiacciante scena del sottano in cui abita una ragazzotta di belle speranze) e del neorealismo Andreotti si lamentava con Rossellini e Fellini perché “i panni sporchi si lavano a casa propria”.

Se una rima rap racconta la realtà meglio di cento talk show

Oggi si vorrebbe tagliare la lingua a Emils Killa o Sfera Ebbasta per certi passaggi forti dei loro testi. Come se dipendesse da loro l’Italia del fornaio che pippa per reggere la fatica, del chirurgo che sniffa per essere super performante al tavolo operatorio, degli onorevoli il cui prelievo dei capelli rivela che non marciano certo a té e camomilla, dei molti rispettabili padri di famiglia e professionisti che picchiano, minacciano, sfregiano le donne. Di donne esasperate o altrettanto cattive che sfregiano i maschi di rimando. Degli autotrasportatori che si calano le anfetamine per gestire viaggi lunghissimi in orari da stroncare un dinosauro. I begli anni non sono mai esistiti, e se oggi istituzioni come famiglia, scuola, figure genitoriali sono assenti o disarmate e i ragazzi scappano di mano a chi non li ha voluti capire, accade magari che in un testo crudo come 15 piani di Marracash e Sfera Ebbasta si capisca più della società italiana attuale che in cento talk show di Gramellini con Crepet seduto sulla poltrona a dire che l’aver letto A sangue freddo di Capote non lo ha trasformato in assassino. E ti credo. Non c’era ancora la trap. 

Perché quei drogati con i denti di metallo e i pasticci in faccia conquistano i nostri figli. Approfondimento





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Scritto da: redazione

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