Le tecniche di sofisticazione legale e correzione di uve e mosti esistono da tempo, ma “Report” le svela in prima serata. E il ministro non ci sta. Qui i fatti
Il vino italiano non è esattamente quello che arriva alla percezione del consumatore medio. Intendamoci, il prodotto è mediamente buono con punte di eccellenza mondiale che muovono un mercato da 14 miliardi di euro. Ma la maggior parte di coloro che acquistano vino non sa attraverso quali tecniche viene continuamente affinato e se il caso, “aggiustato”. Il ministro dell’Agricoltura e dell Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, ha però gradito ben poco che queste tecniche venissero spigate al grande pubblico in prima serata sulla Rai, reagendo con un: “Abbiamo il nemico in casa”. E quel nemico sarebbe la porzione della puntata di Report dedicata al mondo eno. Il ministro risponde allarmato e indignato, a suo dire così si rischia di mettere tutti nello stesso calderone e rovinare un’eccellenza italiana. Ma forse esagera. Ripartiamo dai fatti.
Tre mesi per le nuove etichette imposte dall’Ue: il video
Doc, Dogc e Igp, a cosa serve il disciplinare
I disciplinari che riguardano la produzione di vino servono a dare certificazione di provenienza di un dato prodotto corrispondente a un dato territorio. Vedi l’Amarone della Valpolicella (che arriva a costare oltre 50 euro la bottiglia) o il Brunello di Montalcino (affinato per 5 anni dopo la vendemmia, in legno e in bottiglia e con tasso zuccherino e acidità tassativamente indicati). Regole più stringenti portano a prodotti più raffinati e quindi costosi (tendenzialmente i Docg). Fin qui tutto fila, cosa ha portato alla reazione allarmata del ministro del governo Meloni? Lo svelamento di come un vino che sta venendo fuori con tassi zuccherini o altri parametri sballati, possa essere corretto e poi messo in vendita comunque a prezzo di eccellenza. Qui si apre uno scenario sconosciuto ai più che non avrà sconvolto la maggior parte degli operatori eno ma sorpreso il consumatore comune sì, e irritato Lollobrigida.
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Mosto rettificato concentrato e chirificatori animali
L’inchiesta di Report mostra il dietro le quinte della vinificazione in Italia, con i processi fisico-chimici con cui si rimette a posto un vino che altrimenti non sarebbe così buono e vendibile a prezzi anche molto alti. Come si “salva” un mosto di bassa qualità? Risponde il tecnico enologico Francesco Grossi che spiega come il vino possa essere destrutturato e modificato in un gioco da piccolo chimico. Con mezzi come la filtratura con la bentonite, poi l’inserimento dei filtrati dolci, l’uso frequente dei mosti rettificati concentrati e correttori di colore di origine animale come gelatina suina o colla proteica ricavata dal pesce. Avere un vino fatto tutto da uva naturale non è così comune come si crederebbe. Capita che il 20% del vino prodotto in una data azienda venga usato da questa e che il resto del prodotto venga venduto ad altri. Milioni di bottiglie prodotte così, vedi la scritta “imbottigliato da” che rivela come molto spesso una cantina non abbia anche prodotto quel vino. Così scatta la “Borsa” del prodotto enologico.
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Tecniche che si usano da molti anni. Ma allora perché scandalizzarsi?
Riassunto brevissimo: beviamo un prodotto pluri sofisticato ma con tecniche diffuse da decenni e consentite dalla legge. Con cui si salvano usi e mosti che altrimenti farebbero crollare il valore finale del prodotto. Ma questo non apre troppo spesso all’acquisto e uso di uve scarse? La risposta è che i produttori destinano le uve e i mosti migliori con chiara indicazione della vigna da cui proviene alle linee top, nelle meno prestigiosi entrano in campo le tecniche di miglioramento che salvano perfino le cosiddette uve “ammalorate”, come l’uso di acido tartarico per dare al mosto il giusto valore zuccherino. Niente che non si sapesse già, ma ora lo sanno molte più persone. E torna la controversia delle etichette dei vini poco “parlanti” che l’Ue vuole rendere molto più chiare per i consumatori. L’Italia è fra i Paesi che oppongono maggiori dubbi su questa richiesta. E per Lollobrigida le nostre etichette sono già molto chiare.
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