Il tarallo è un prodotto da forno diffuso in gran parte delle regioni dell’Italia meridionale: nel tempo ha assunto caratteristiche diverse in base al territorio di appartenenza. In quest’articolo cercheremo di capire cosa renda la variante napoletana, la cosiddetta nzogna e pepe (sugna e pepe), tanto speciale da essere diventata una delle indiscusse gemme della tradizione culinaria locale. Un’indagine doverosa, soprattutto alla luce del suo crescente successo presso le folte schiere di turisti che ogni anno visitano la città del sole a caccia di bellezze artistiche e sapori tipici.
Le origini dei taralli napoletani
Si può dire che il tarallo altro non sia che l’evoluzione di un cibo consumato fin dai tempi dell’antica Roma, vale a dire il biscotto (dal latino biscoctus, ovvero ‘cotto due volte’): questo doveva la sua grande diffusione, tra l’altro, all’estrema praticità, al costo contenuto e ad un ottimo apporto calorico. La specialità partenopea nacque con le medesime caratteristiche, frutto dell’inventiva di alcuni fornai che, tra il ‘700 e l’Ottocento, impiegarono il residuo della lavorazione del pane, il cosiddetto sfrido. Aggiungendogli strutto e pepe, diedero vita ad un alimento appetitoso, nutriente e soprattutto economico, più che adatto quindi a sfamare la varia umanità che all’epoca versava in condizioni di estrema miseria. Un’umanità che, per inciso, venne sapientemente tratteggiata dalla celebre scrittrice Matilde Serao nel suo romanzo Il Ventre di Napoli.
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Il cibo dei poveri solletica il gusto della gente
L’introduzione delle mandorle nella preparazione dei taralli napoletani, un’aggiunta che ne avrebbe fatto inevitabilmente lievitare il costo, sarebbe avvenuta solo in un secondo momento, quando la specialità iniziò ad incontrare il gusto della gente, divenendo un vero e proprio street food ante litteram.
I tarallari
Particolarmente interessante, da questo punto di vista, fu la comparsa di una nuova professionalità: quella del tarallaro, vale a dire il venditore ambulante di taralli. Tra la seconda metà dell’Ottocento ed il Novecento questa singolare tipologia di commercianti attraversò (rigorosamente a piedi) i vicoli del centro storico di Napoli, pubblicizzando la propria mercanzia con atteggiamenti quantomeno pittoreschi. Pare che l’ultimo rappresentante della categoria sia stato il signor Fortunato Bisaccia, anche conosciuto come Fortunato o’ Tarallaro: personaggio di tale fascino da divenire uno dei simboli della napoletanità stessa e, per questo motivo, essere corteggiato da grandi artisti quali Eduardo de Filippo, Vittorio De Sica e Pino Daniele.
Dove gustare i taralli napoletani
Come già accennato, al giorno d’oggi la fama dei taralli è in continua crescita tra i visitatori che affollano i vicoli della città: non è dunque una caso che, soprattutto nel centro storico, stiano aprendo un gran numero di negozi specializzati. Sebbene, come è ovvio, possano essere consumati un pò dappertutto, un napoletano DOC vi direbbe che esiste un luogo particolarmente adatto alla loro degustazione, vale a dire il lungomare di Mergellina. Mentre lo si percorre è estremamente facile imbattersi in chioschi deputati principalmente alla loro vendita. Chi scrive ritene che assaporarli ammirando lo splendido panorama del Golfo, mentre si è baciati dalla luce del sole, sia un’esperienza assolutamente da provare.
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Come gustare al meglio i taralli napoletani
Un tempo, quando l’acqua del mare era più pulita, molti usavano intingervi i taralli per ammorbidirli. Oggigiorno, come è facile capire, se si è proprio decisi a rinverdire quest’usanza, è meglio farlo ad una certa distanza dalla costa. Nel caso non sia possibile farlo, occorrerà ‘accontentarsi’, bagnandoli con una birra fresca, meglio se bionda.
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