Jason Statham ha ancora qualcosa da dire come eroe action? A quanto pare sì: The Beekeeper riesce a essere sorprendente, anche se non in positivo. La recensione.
Entrando in sala per vedere un film di Jason Statham il cui punto è “Jason Statham che mena le mani” difficilmente ci si aspetta di essere colti di sorpresa. Invece The Beekeeper riesce a suo modo a essere piuttosto spiazzante, bisogna riconoscerglielo. Anche se non in senso positivo.
Il pubblico medio di un film action con protagonista l’imponente attore inglese si aspetta qualcosa di preciso, talmente prevedibile che non c’è nemmeno la pretesa di essere sorpresi. Da Statham il suo pubblico vuole monoliticità: tematica, tonale, muscolare, forse anche facciale.
Statham è considerato uno dei nomi che hanno fatto risorgere un certo cinema action/thriller incentrato sull’eterno tema della giustizia che si intreccia con la vendetta, dimostrandosi capace di attirare in sala un pubblico fidelizzato. Il successo riscontrato dagli inizi del Millennio dei suoi progetti di questo tipo l’ha reso uno degli interpreti più amati dagli studios, con tanto di una sorta di universo cinematografico a lui dedicato. È la presenza di Statham a tenere in piedi franchise come The Meg e a contribuire al successo continuativo di Fast X e The Expendables.
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The Beekeeper ha una regia e una fotografia esagerate per le sue ambizioni
Il punto, per lo Statham-spettatore, non è tanto la trama, quando andare al cinema con la promessa di vedere Jason che amministra un po’ di giustizia a mani nude o armate. La buona notizia è che The Beekeeper rispetta alla lettera questo Statham-manifesto, questo programma. Qualcuno fa incazzare Adam Clay, un apicoltore senza documenti e senza passato che si è stabilito in una piccola fattoria nel Minnesota. Lui pian piano risale la catena alimentare dell’organizzazione criminale di turno, alla ricerca dei colpevoli, lasciandosi dietro una scia di cadaveri non da poco.
The Beekeeper non sembra avere ambizioni sconfinate, non sembra nemmeno puntare a un secondo capitolo. È un film che rientra appieno della dicitura un po’ brutale ma efficace “Jason Statham fa cose”. Quella delle api è una scusa che dura il giusto, in una sceneggiatura che talvolta strappa una risata non proprio voluta per la maniera rozza con cui butta sul piatto quello che vuole dire. Perché, a sorpresa, The Beekeeper ha sia un’agenda sia un messaggio che si spingono ben oltre la sete di giustizia del personaggio di Statham.
Dalla sua il film ha almeno un paio di elementi che fanno ben sperare in prima battuta. Il primo è il regista David Ayer, uno che è proprio versato nel genere “calda notte poliziesca/braccio duro della legge”, sia per inclinazione sia per biografia personale. Qualche anno fa però qualcosa però nella sua carriera s’è inceppato: Ayer è passato da pellicole interessanti e originali come End of Watch – Tolleranza zero e Fury, passando per il pessimo ma comunque prestigioso Suicide Squad, a un film con ambizioni da uscita in cassetta. Il buono che The Beekeeper ha da dare lo mette lui, con una regia e una fotografia curate, elegenti, di livello, che cozzano e stridono per qualità espressa con tutto il resto. Viene quasi da chiedersi perché chiamare Ayer, perché fargli intrappolare i protagonisti in una luce dorata che sembra riflessa da un barattolo di miele, se poi le esplosioni sono appiccicate con la CGI alla bell’e meglio?
Il pubblico di Statham ha paura dei ragazzini smanettoni?
Il vero pasticcio lo fa la sceneggiatura di Kurt Wimmer, uno che di film così ne ha scritti parecchi. Gli si richiedeva un lavoro di routine come sceneggiatore: guardare a successi come John Wick, scopiazzare il giusto e tirarne fuori una versione godibile, dalle ambizioni più contenute. Spesso in ambito puramente commerciale, senza un forte progetto dietro o qualcuno a cui importi qualcosa oltre del botteghino, il punto di questi film è quello di creare una tenue parvenza di storia che giustifichi la componente action, la violenza, le sparatorie, magari ispirandosi ai titoli del momento.
Vedendo The Beekeeper ho proprio sentito un fosco presagio per il futuro, un cambiamento palpabile di stampo reattivo e reazionario a quanto si è tentato di fare, talvolta maldestramente, anche in campo action per svecchiare messaggi e personaggi. The Beekeper è sorprendente sì, ma per il pubblico che va a cercare: quello che teme la tecnologia, la gioventù, in ultima istanza il futuro.
La sua trama ci propone tutta una serie di elementi che fanno pensare che il pubblico di riferimento sia anziano, molto anziano, decisamente in età pensionabile. Inizialmente può sembrare un mero scivolamento. La vendetta di Jason Statham è scatenata da una truffa informatica a un’anziana pensionata. La donna viene derubata dei suoi risparmi e dei fondi di un’associazione benefica da un losco giro di call center truffaldini. Il pressapochismo, la superficialità con cui questo incipit viene presentato lo rende la versione grottesca di una pubblicità progresso che invita ad aiutare gli anziani. Più il film prosegue più questo posizionamento sembra invece intenzionale.
Grottesco è anche il ritratto dei giovani, dipinti come senza cuore, irrispettosi, smanettoni. Se ci si aggiunge la sottotrama politica e le responsabilità (come e a chi vengono addossate), si tira fuori una visione del mondo che alimenta sfiducia e paura. The Beekeeper racconta un mondo in cui solo gli anziani sono capaci di fedeltà e lealtà – sia tra i buoni sia tra i cattivi come Jeremy Irons – in cui le istituzioni ispirano profonda sfiducia, in cui tutto fa paura: i giovani, la tecnologia, gli apparati governativi. Non è nemmeno una critica agli stessi, o un voler fotografare un astio intergenerazionale che sembra esistere davvero.
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