Il 2024 è stato dichiarato l’anno del turismo delle radici, una tipologia di turismo per cui gli italiani emigrati nel mondo e i loro discendenti (circa 80 milioni di persone) tornano a visitare e a vivere esperienze nei luoghi dei loro antenati. Si tratta di un flusso turistico con tante potenzialità interessanti per l’Italia, poiché spesso questi italo-discendenti hanno un’ottima capacità di spesa, voglia di conoscere e vivere appieno il nostro paese, il che potrebbe generare una spesa annua calcolata sugli otto miliardi di euro.
Malloreddus, canederli e cannoli, tre “testimoni” di storia antica e gusto (Shutterstock)
Food experience: cosa significa
Tra le esperienze che sicuramente sono più gradite e popolari troviamo quelle enogastronomiche, che spaziano dalle visite alle aziende agroalimentari locali alle food experience; il viaggiatore delle radici apprezza sia i ristoranti stellati sia le trattorie di campagna, spazia dagli agriturismi nelle zone rurali alle trattorie moderne nelle grandi città. Il turista delle radici vuole ritrovare le proprie origini soprattutto attraverso la degustazione della cucina della memoria familiare e della sua comunità d’origine e perciò è prevista una grande domanda anche di corsi di cucina casalinga, di esperienze in home restaurant, di degustazioni di prodotti di nicchia, tipici e tradizionali, di esperienze sartoriali che facciano sentire il visitatore al centro di esperienze uniche, eccezionali, disegnate su misura per lui/lei, dove emozione, nostalgia e divertimento sono mixate intelligentemente.
Niente effetti speciali, solo “verità”
La cucina delle radici o dovremmo dire le cucine delle radici, visto che l’Italia ha un bagaglio straordinario di cucine regionali e zonali, è improntata su pietanze e ricette della tradizione, veri e propri beni culturali immateriali che le comunità locali custodiscono gelosamente essendo un lascito fondamentale dei propri progenitori. Attraverso la cucina delle radici è possibile ritrovare i sapori di un tempo, quelle pietanze che i figli o nipoti degli emigrati italiani hanno portato nelle Americhe, in Australia, nei Paesi Bassi eccetera, piatti che venivano riproposti nei momenti di festa e perciò diventati identitari per gli italo-discendenti.
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Le radici di quelle culture gastronomiche grazie al turismo delle radici sono in grado di rivivere nei visitatori odierni che possono apprendere a fare i malloredddus sardi, i canederli altoatesini, il pesto genovese, i cannoli siciliani e via dicendo con le comunità locali ospitanti. Insieme ai prodotti imparano miti, leggende, aneddoti, modi di dire da chi glielo insegna, con un passaggio di testimone che è chiave di volta anche per preservare e onorare la vera cucina italiana casalinga, un po’ impolverata in questo scorcio del XXI secolo.
I quattro “tipi”
Secondo alcuni specialisti del settore sono quattro le principali tipologie di turista delle radici, che si rispecchiano anche nella cucina, vediamole. Ecco il Nostalgico, migrante di prima generazione, che ha un legame stretto con l’Italia, parla italiano e si sente italiano. Conosce bene la cucina delle proprie radici, desidera farla provare ai propri familiari, per condividere con loro la propria storia. Essendo esperto non è facile stupirlo, ma esperienze “mani in pasta” e degustazione di vini e prodotti di piccoli produttori, come pani, formaggi, salumi e dolci di nicchia possono conquistarlo e fidelizzarlo.
Poi c’è il Testimonial, che torna spesso in Italia per motivi lavorativi; si sente italiano, pur essendo molto ben integrato nella propria comunità di adozione; è un vero e proprio ambasciatore dell’italianità all’estero e potrebbe portare a conoscere i propri luoghi di origine e la cucina delle radici anche amici e colleghi. A lui/lei devono essere dedicate esperienze emozionanti, sorprendenti e con il tipico effetto wow. A fine viaggio riempirà e farà riempire la valigia di vini e prodotti tipici, farà acquistare tramite e-commerce molte delle leccornie gustate nel suo viaggio delle radici ai suoi compagni di avventure. È da tenere in considerazione.
Il terzo tipo è l’Italiano di seconda o terza generazione; non si definisce solo italiano ma italo-americano, italo-tedesco, italo-argentino eccetera. Il suo viaggio è alla ricerca della propria identità culturale e familiare. Cerca i luoghi di cui ha sentito raccontare da genitori e/o nonni, e vuole assaggiare i piatti della memoria, imparare a fare le pietanze delle proprie radici, per portarli nella terra d’adozione, come un souvenir prezioso. A lui/lei si possono dedicare itinerari personalizzati, esperienze immersive e corsi intensivi di cucina e/o minicorsi di degustazione sensoriale di bevande ed alimenti, per riavvicinarlo ai sapori familiari, quasi dimenticati.
Infine c’è il turista della Generazione Z, giovane e super attivo, che viene in Italia per fare esperienze immersive, in cui la cucina è grande protagonista per la sua capacità di essere regina sui social, instagrammabile e tiktok-abile. Questo viaggiatore delle radici cerca piatti scenografici, colorati, particolari, esperienze enogastronomiche in location uniche, che ha conosciuto tramite i social, le serie TV e la filmografia; vuole vivere l’italianità in modalità 4.0, anche dal punto di vista agroalimentare.
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Se il cibo è l’attrazione verso realtà spopolate e nascoste
Per le regioni italiane, coinvolte dal MAECI (Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale) in un interessante progetto finanziato dal Pnrr, il 2024 può rappresentare una svolta importante, soprattutto per piccoli paesi e borghi spopolati, patria di tanti emigrati di prima e seconda generazione, che potrebbero veder arrivare questi turisti delle radici in cerca di esperienze enogastronomiche immersive, distintive e con una forte connotazione culturale e identitaria.
Immegersi nell’esperienza
Il consiglio per le comunità locali è ovviamente di farsi trovare pronti, con un bel piatto di pasta fumante sul desco, un buon bicchiere di vino da raccontare e una ricetta speciale da condividere e insegnare, per riallacciare quei fili, spesso strappati dolorosamente con l’emigrazione, ma che possono essere facilmente e gioiamene riallacciati a tavola, come (solo) noi italiani sappiamo fare.
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