Lo sguardo gelido, perso nel vuoto, la pistola alla tempia e la fascia rossa attorno al cranio, dove sta per ficcarsi l’ultimo proiettile, quello definitivo. Occhi negli occhi fra Mike (Robert De Niro) e Nicki (Christopher Walken): “Aspetta Nick, ti ricordi come sono gli alberi a casa? Gli alberi, Nicki, sono diversi“. Poi la domanda: “Un colpo solo?“. E quel colpo arriva a straziare la coscienza degli Usa e a distruggere e al contempo conservare per sempre il più sacro del legami, l’amicizia. Dal 22 al 24 gennaio torna in tutti i cinema in versione arricchita dal 4K Il cacciatore, capolavoro di Michael Cimino e uno dei film più belli della storia di questa arte. Era il 1978 quando Cimino vinse cinque Oscar, diventò il nuovo discusso genio di Hollywood, lanciò la debuttante Meryl Streep e dimostrò che i cinema d’autore, quello che nasce per colpire e far riflettere, non per intrattenere, poteva far man bassa di premi e di incassi.
Video
Un set folle
Ci sono molte cose che non sarebbero mai più state le stesse dopo la lavorazione di Il cacciatore (titolo originale The Deer Hunter). La carriera di Walken, esplosa con una interpretazione magistrale ma poi solo raramente all’altezza della sua bravura, la fine della vita di John Cazale, lo Stosh fastidioso e maltrattato da De Niro per tutto il film, che stava già morendo di cancro ai polmoni per il vizio di fumare una sigaretta dietro l’altra senza fermarsi mai. Cazale era il compagno della Streep e considerato il vero genio della compagnia, rispettatissimo attore di teatro e di cinema. La dedizione totale con cui De Niro si buttò nella lavorazione, lui che era già esploso col Padrino Parte II e con Taxi Driver, che fece spazio a Walken, suggerì di dare il ruolo alla Streep vista a teatro. E seguì Cimino in tutte le sue follie creative.
Che comprendevano far vivere davvero e intensamente agli attori le esperienze estreme previste dal copione. Indossare quelle tute militari da prigionieri sopravvissuti senza mai levarle, anche quando erano lercie e bagnate. Urlare, insultare e menare schiaffi nel lager vietcong, stare davvero su un ponte sospeso su fiume in attesa di agganciarsi al volo ad un elicottero che arriva a salvarti dal nemico. Litigare fino a puntarsi la pistola alla fronte.
La roulette russa
La sequenza che più di tutte è rimasta impressa è quella della roulette russa, cioè la sfida con scommesse a chi evita il colpo mortale di una pistola a tamburo con un colpo solo in canna, avvicinandosi alla morte turno dopo turno, con una chiasso infernale di risate, banconote e schiaffi attorno. Una scena che non dimentichi più, anche se non è mai stata provata l’esistenza di una tortura simile. Ma c’è molto altro nel Cacciatore: l’amore per i grandi spazi, per la sacralità della natura d’America violata dall’uomo, un montaggio che mescola assieme diversi scenari in modo inedito ma di grande effetto, la guerra filmata soprattutto come attesa della morte e come resistenza a prove sovrumane che cambieranno per sempre tre amici guasconi e ingenui andati a combattere un conflitto sbagliato dall’inizio.
Fotogramma del film
Con provocazione ulteriore: i protagonisti sono giovani operai figli di immigrati russi, la “nemesi” dell’America. Le serate fatte di caccia al cervo, sfide a biliardo, sbronze colossali e matrimoni nati male finiscono tritate dentro il Vietnam. Con un ritorno a casa dove non riconosci più te stesso. Cazale morirà neanche un mese dopo il film, il Nicki interpretato da Walken non riuscirà ad uscire dalla devastazione mentale provocata dalle torture, il Mike di De Niro non potrà salvarlo. Cosa è rimasto? Un ultimo canto sommesso, God Bless America, un brindisi sottovoce a ciò che è rimasto dell’amicizia. Un brindisi per Nicki.
Post comments (0)