Realizzato per celebrare i 35 anni dal debutto dell’anime, il nuovo film di City Hunter tenta una difficile conciliazione tra passato e presente: la recensione di City Hunter The Movie: Angel Dust.
Ogni epoca ha i suoi eroi, dice l’adagio: Ryo Saeba è stato un beniamino del mondo animato giapponese a cavallo tra anni ’80 e ’90. City Hunter The Movie: Angel Dust dimostra come sia anche lo spirito del tempo a rendere tali i suoi beniamini.
Del nuovo film dedicato al personaggio di Ryo Saeba si può dire molto, a partire dal fatto che è bello constatare come vada a infittire un calendario di uscite d’animazione giapponese che non fa mancare novità in sala con scadenza mensile. Un segnale importante per gli appassionati del genere e per il circuito distributivo italiano, anche se purtroppo come sempre iscritto nell’ottica della release limitata. In questo caso Plaion si merita ancor più un plauso, perché il film è uscito pochi mesi fa in Giappone e arriva nelle sale con un doppiaggio attento all’anime che rese migliaia di spettatori fan della serie (Guido Cavalleri dà ancora una volta voce al protagonista), ma che integra voci nuove in un approccio più contemporaneo.
Arrivando più di tre decenni dopo l’anime che l’ha reso popolare, Angel Dust deve fare molte scelte di questo tipo. Quanto puntare sul pubblico affezionato e d’antan, tirando fuori un’operazione nostalgia che richiami in sala i fan un po’ attempati? Quanto invece realizzare un lungometraggio più introduttivo, con formula narrativa e personaggi rivisti per avvicinarsi a un pubblico contemporaneo? Così come il precedente City Hunter: Shinjuku Private Eyes (2019), Angel Dust vira in maniera decisa sulla prima opzione, giocandosi la carta della nostalgia, ma con morigeratezza.
Kenji Kodama è il mago degli anime degli anni ’90 al cinema
Il ritorno alla regia di Kenji Kodama in questo senso è già una dichiarazione d’intenti. Storico direttore dell’anime originale, Kodama è un peso massimo dell’animazione giapponese basata su manga di successo per il grande schermo. Ha diretto infatti moltissimi dei film compongono il canone cinematografico di Detective Conan e alcuni dei migliori secondo i fan.
Sin dalla gestione delle prime scene si vede che alla guida dell’operazione c’è un nome d’esperienza. Angel Dust infatti a livello visivo riesce a bissare l’equilibrio raggiunto da Shinjuku Private Eyes, tutto fatto di animazioni contemporanee al servizio di un character design e di una palette cromatica che guarda al passato. Spesso questa scelta suggerisce confronti non troppo lusinghieri tra lo stato dell’arte dell’animazione di oggi e quello di 30 anni fa, ma per fortuna Angel Dust ha un ritmo sostenuto, che evita allo spettatore di troppo indugiare.
Il film ricalca uno degli archi narrativi più importanti dei 35 volumi che compongono il manga di Tsukasa Hojo. Ryo Saeba e Kaori Makimura vengono incaricati di salvare un gatto in difficoltà da una giovane cliente. L’incarico sembra pura routine, ma Ryo finisce sotto tiro di un’organizzione che sembra volerlo assasinare. C’entra ovviamente la Angel Dust del titolo, una potente sostanza in grado di creare supersoldati a partire da semplici uomini. Ryo si ritrova così a indagare e duellare con una nemesi che lo porterà inaspettatamente a confrontarsi anche con il proprio passato, i non detti e i misteri che lo circondano.
City Hunter non trova sempre una quadra tra passato e presente
Segue un film che funziona bene quando abbraccia con entusiasmo l’attitudine dell’anime originale, senza passatismi ma con un po’ di sano citazionismo. La colonna sonora in particolare è davvero ipertrofica e gasa a un primo ascolto, fino ad arrivare alle prime note di Get Wild dei TM NETWORK per sentire davvero l’onda della nostalgia. Il lungometraggio funziona meno bene quando si trova a dover trovare una quadra tra passato e presente. Ambientare il film nella Tokyo odierna vuole essere una concessione al pubblico che non può avere nostalgia di quella degli anni ‘80, almeno per questioni anagrafiche. Calati in ambito contemporaneo però i personaggi di City Hunter sembrano spesso fuori posto, specie considerando il tipo di umorismo e le gag che che circondano la passione di Ryo per le belle donne.
È l’aspetto di City Hunter che è invecchiato di più e che avrebbe avuto senso in un film ambientato nel passato. Strappare a Ryo questo suo aspetto vorrebbe dire snaturarlo, per cui il film tenta di calare la sua verve comica in un presente dove il registro brillante di questo genere di prodotti è molto differente. Non è una questione di censure, quanto piuttosto della difficoltà di far funzionare oggi ciò che una volta era contemporaneo. Se nel finale il film ritrova il suo slancio, non è un caso: la gravitas del duello finale e in generale i toni più cupi di questo film sono elementi che funzionano molto di più anche nel presente.
Le scelte fatte in City Hunter The Movie: Angel Dust vorrebbero essere ancora una volta il più inclusive possibili, con il lungometraggio prodotto da Sunrise che punta a portare una fascia trasversare di pubblco in sala. Il risultato però è un’ibridazione che sceglie di non scegliere e tende a perdere un po’ della sua potenza narrativa.
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