Il Festival di Berlino 2024 si è definitamente chiuso, incoronando come vincitore un documentario francese diretto dalla regista Mati Diop. Cosa lascia dietro di sé quest’edizione della kermesse? L’impressione è che il direttore artistico Carlo Chatrian abbia fatto di necessità virtù, dato che sono mancati titoli di altissimo profilo in quest’edizione, pur presentando alcune pellicole di cui sentiremo sicuramente riparlare nei prossimi mesi.
Berlinale, di cosa parla dil film vincitore dell’Orso d’Oro
Da Hollywood sono arrivare alcune delle pellicole più convincenti viste in quest’edizione, un paio delle quali sono sembrate avere le gambe lunghe e la capacità d’imporsi nei mesi successivi, sia tra i favori di critica e pubblico, sia in ottica Oscar. Sul fronte europeo e mediorientale invece si sono viste molte pellicole sperimentali e impegnate, con una chiara agenda politica. Tra le più promettenti però parecchie si sono rivelate delle mezze delusioni, incapaci di mantenere le premesse iniziali, sporcate nella loro esecuzione e alle volte francamente noiose.
In questo speciale ho riassunto per voi i titoli che ricorderemo di questa Berlinale numero 74, in meglio e in peggio.Nei top ho raccolto i film da attendere con impazienza all’uscita in sala, mentre nei flop troverete i lungometraggi che davvero non hanno convinto la critica e su cui sarebbe meglio non riporre troppe speranze.
Small Things Like These
Il film d’apertura del concorso principale, pur senza entusiasmare, si è rivelato tra i più solidi dell’edizioni.
Tratto da un romanzo di successo, Small Things Like These ci porta nelle miserie di una piccola cittadin dell’Irlanda del 1985. Il protagonista, interpretato da Cillian Murphy, dovrà decidere se preservare la sicurezza economica in cui sta crescendo le sue figlie o rischiare tutto per salvare una sconosciuta rinchiusa dalla madre in un convento che l’uomo visita settimanalmente per rifornirlo di carbone.
Si parlerà di questo film perché contiene l’ennesima, grande performance di Cillian Murphy, che dà un grande ritratto di un uomo che vive con dolore e angoscia l’impossibilità di essere per i giovani sfortunati che vede attorno a sé ciò che è stato per lui la sua benefattrice.
La recensione di Small Things Like These
Love Lies Bleeding
A mani basse il film più folle ma riuscito di questa edizione, che ci consegna una grande performance di Kristen Stewart e la conferma che la regista Rose Glass non ha davvero paura di niente.
Già opzionato dalla distribuzione italiana, Love Lies Bleeding è un thriller erotico e pulp che vede una bodybuilder e la ragazza senza prospettive allearsi per fronteggiare il minaccioso padre di quest’ultima.
Amore, ormoni e tanti morti ammazzati: un film eccessivo e orgoglioso di esserlo, che raccconta l’America più estrema senza giudicarla, come nessuno faceva dai tempi di Showgirls, con cui condividere l’amore per l’eccesso.
La recensione di Love Lies Bleeding
I Saw the TV Glow
Se siete cresciuti negli anni ‘90 vi sentirete a casa tra le videocassette e le immagini sgranate di questo film che comincia come un coming of age e poi diventa quasi una confessione personale, un grido d’aiuto.
Visivamente avvolgente con le sue luminescenze, in grado di raccontare alla perfezione quanto la TV possa essere più vera e appassionante della vita quotidiana per adolescenti allo sbando, I Saw The TV Glow è un piccolo film indie che guarda negli occhi una delle paure più profonde di chi è diventato adulto, dando risposte tutt’altro che rassicuranti.
A Different Man
Il 2024 sarà l’anno in cui Sebastian Stan riusciràa a farsi prendere sul serio? Sembra proprio di sì, grazie alla sua performance kafkiana in A Different Man.
Kafkiano e surreale, il film ad ambientazione newyorkese racconta di come un uomo deforme interpretato da Stan riesca a lasciarsi alle spalle il suo aspetto “da mostro”, salvo poi scoprirsi una persona ben più meschina e includente quando entra nella schiera dei “normali”.
Sarà uno dei film di cui parleremo di più quest’anno: merito di una scrittura a orologeria e a un trio di protagonisti davvero, davvero irresistibile.
La recensione di A Different Man
Sasquatch Sunset
Prodotto da Ari Aster, scritto dai creatori della serie The Curse, Sasquatch Sunset piacerà a quanti vogliono essere spiazzati da quello che stanno vedendo. L’epopea lunga un anno di questo creature antropomorfe che tentano di sopravvivere in un ambiente incontaminato, bellissimo e pericoloso è ricca di umorismo vernacolare, seppur non venga proferita una sola parola per tutta la pellicola. I quattro Sasquatch si esprimono infatti solo a mugugni.
Per chi non si lascerà spiazzare troppo dalle premesse bizzarre, Sasquatch Sunset regalerà un film che un po’ sembra un documentario, un po’ una lezione sugli ominidi nella preistoria, salvo poi rivelarsi un racconto commovente sulla vita e la morte, con un predatore apicale invisibile ma letale.
Dostoevskij
La serie firmata dai fratelli D’Innocenzo è stata una delle più belle sorprese di questa Berlinale. Il duo italiano firma una miniserie che sembra davvero la true detective italiana, cupa e liminale, con un ottimo Filippo Timi protagonista.
La recensione di Dostoevskij
Another End
Purtroppo per noi uno dei film più deludenti dell’intera kermesse è italiano. Onore al merito al regista Piero Messina per aver osato un film di genere – sembra una puntata di Black Mirror – e con un cast internazionale davvero di pregio (Gael García Bernal, Bérénice Bejo, Olivia Williams e Renate Reinsve).
Peccato che però la storia non ci sia. Già il punto di partenza tecnologico sa tanto di già visto ed è mal presentato, la il film la tira per le lunghe oltre il necessario, non sapendo davvero dove andare a parare. Renate Reinsve è fantastica, ma è davvero una grande occasione sprecata.
La recensione di Another End
Black Tea
Il film più brutto della kermesse, che vorrebbe essere una storia d’amore delicata alla Wong Kar-Wai ma risulta un pastrocchio dalle intenzioni poco chiare e cristalline. Dovrebbe essere un racconto di culture ivoriana e cinesi che si incontrano sotto l’egida della scoperta del rito millenario del té, ma il tutto è sin troppo idilliaco, privo di attrito per raccontarci alcunché.
Cuckoo
Hunter Schafer e Dan Stevens sono strepitosi in questo horror tedesco che ha il merito di aver scoperto la giovane attrice statunitense prima del successo del prequel di Hunger Games.
Folle e ironico, Cuckoo intreccia le leggende tedesche con mitologiche creature dei boschi, ma si perde clamorosamente a metà strada, finendo per far ridere più che spaventare nella sua seconda parte. Grandi talenti da cui ci aspettiamo molto di più la prossima volta, sia davanti sia dietro la cinepresa.
Suspended Time
Speriamo entri presso in essere una moratoria contro i film elaboratori dai grandi registi durante la pandemia, che arrivano fuori tempo massimo sul grande schermo con il loro bagaglio di riflessioni personali al limite dell’autofiction. Saranno sicuramente catartiche per i cineasti, ma da spettatori hanno il sapore di una punizione.
Dopo Wiseman, c’è cascato anche Olivier Assayas.
Supersex
La serie su Rocco Siffredi di Netflix dovrebbe essere stuzzicante e iconoclasta, per definizione. Invece risulta moscia, banale. Il problema non è il voler puntare sul dramma umano più che sulla componente trasgressiva della vicenda (anche se sa un po’ di scelta paracula), quanto piuttosto la scrittura che davvero non regala emozioni, non azzecca i dialoghi. Borghi è rigido, Giannini bloccato da un trucco improponibile. Si salva giusto Jasmine Trinca.
La recensione di SuperSex
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