Quando Elton John ha incoronato gli Yard Act come una delle band più interessanti del momento, più di qualcuno si sarà chiesto chi fossero. Eppure, il loro album di debutto, The Overload, è stato candidato al Mercury Prize, è valso un tour tutto esaurito e ha posto le basi per una versione del loro brano 100% Endurance proprio con il baronetto britannico. A due anni dal disco d’esordio, che si è spinto fino al secondo posto della classifica del Regno Unito, il quartetto di Leeds ha pubblicato Where’s My Utopia?, una conferma del loro estro.
Post punk spigoloso
Gli Yard Act sono partiti da un post punk spigoloso, figlio della lezione impartita dai Fall, e hanno aggiunto nel tempo nuovi elementi sonori a brani che uniscono un’amara ironia a pungenti riflessioni sul presente. Dopotutto, sono uno di quei gruppi nati all’ombra della Brexit, che tutt’ora attanaglia l’industria musicale britannica, soprattutto quella indipendente. Parte del merito di questa formula efficace è attribuibile al cantante, James Smith, che affronta temi sociopolitici e autobiografici con la forza della ripetizione e dello spoken word. L’assenza di melodia è compensata dal ritmo, elemento che in Where’s My Utopia? assume ancora più importanza grazie alla coproduzione di Remi Kabaka Jr dei Gorillaz.
Convinto che fare quello che si desidera fin dall’adolescenza non risolve i tuoi problemi, Smith si è chiesto perché non riuscisse ad afferrare la felicità, nonostante il successo, la genitorialità e una serena vita familiare. Questa inquietudine è sintetizzata in maniera molto energica nel primo singolo che ha anticipato l’album, dal titolo inequivocabile Dream Job, dove canta: “Benvenuti nel futuro, la paranoia vi si addice”.
Where’s My Utopia?
Where’s My Utopia? è un contenitore di suoni e parole dove convivono sfumature del quotidiano. La cupa Petroleum prende spunto dall’esperienza del burn out del cantante, sperimentata durante lo scorso tour e trattata con la massima spontanea sincerità, come fosse un flusso di coscienza, una confessione intima dove Smiths mette a nudo la sua incapacità di affrontare il disagio. Forte del suo groove, Down By the Stream guarda indietro all’infanzia, nella conclusiva A Vineyard for the North è invece il tema del cambiamento climatico a tenere banco. Ma nel disco c’è anche molta (auto)ironia: a un certo punto gli Yard Act si definiscono “gli ultimi poster boys del post punk” che “cavalcano le spalle dei morti”. Nella nostalgica Blackpool Illuminations Smith mette mano ai ricordi di una vacanza nella città britannica fatta da bambino, rendendo il racconto più nitido grazie a una sezione di archi, ma, verso la fine del brano, uno scambio di battute rompe l’atmosfera: “Stai inventando tutto questo?”, “Sì, un po’, perché?”.
In The Undertow è ancora l’ironia a spezzare una delle numerose domande esistenziali del disco, Smiths si chiede cosa siamo nati a fare se poi moriamo soli e, subito dopo canta: “solo Dio può rispondere, allora dov’è il mio telefono?”. When the Laughter Stops reinventa le radici sonore della band con un tocco dance, mentre, lungo l’album, l’atteggiamento critico nei confronti di un tossico sistema capitalista rimane lo stesso di un tempo.Where’s My Utopia? è, sin dal titolo, un disco di domande. Il suo obiettivo non è trovare le risposte, ma ballare su questi tempi bui, trovare nel sorriso la forza di affrontare un presente complesso. Può sembrare pretenzioso, ma, certamente, non utopistico.
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