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Ambiente

Agricoltura & clima, una soluzione strategica per uscire dalle false contrapposizioni

today22 Marzo 2024 9

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Da una parte gli agricoltori, timorosi per l’erosione del proprio reddito e legati all’agricoltura convenzionale, quella intensiva; dall’altra gli ambientalisti, che si preoccupano solo delle politiche climatiche e non del loro impatto sociale. Le immagini che nelle ultime settimane hanno mostrato i trattori in marcia a Bruxelles e in molte capitali europee contro le politiche Ue su agricoltura e clima sembrano suggerire una contrapposizione tra il mondo agricolo e quello ecologista.
Una rappresentazione che però è distorta, a partire dal fatto che le ragioni delle proteste spesso riguardano specifiche decisioni dei governi nazionali, come per esempio la questione dei sussidi al diesel in Germania o l’acquisto del grano ucraino nei Paesi dell’Est.

Il circolo vizioso del cambiamento climatico
L’agricoltura oggi contribuisce in base ai dati Eurostat per circa l’11% – una quota significativa – alle emissioni di gas a effetto serra nell’Unione Europea . E utilizza anche, secondo la Ue, circa il 24% delle risorse idriche comuni per irrigare circa il 6% delle superfici agricole . Un uso, secondo la Corte dei Conti Ue, che sarebbe incentivato verosimilmente dalla stessa Politica Agricola Comune (PAC) Ue, a scapito dell’efficienza.
Oltre a contribuire ai cambiamenti climatici, l’agricoltura europea risente in particolare dei loro effetti, esposta com’è a eventi meteo estremi – siccità, inondazioni, ondate di calore – e, soprattutto, ad andamenti meteorologici estremamente variabili, che hanno alterato la “normalità” stagionale, danneggiando così la programmazione aziendale e delle colture.

Per consentire alle aziende di essere sempre più resilienti, dunque, è necessario adottare politiche di contrasto alla crisi climatica. La sostenibilità non è soltanto un termine di moda, ma un valore guida e una scelta necessaria per orientare l’agricoltura verso modelli di produzione e di consumo capaci di correggere gli squilibri, ambientali e sociali, che minacciano la nostra epoca.
In Europa, per decenni, le politiche agricole hanno incoraggiato modalità di coltivazione e allevamento intensivi, quelle della cosiddetta rivoluzione verde. Il primo obiettivo della PAC era quello di incrementare la produttività per garantire cibo a tutta la popolazione del blocco. Le pratiche incentivate hanno però ormai da tempo mostrato i loro limiti dal punto di vista della sostenibilità ambientale, dalla salute dei suoli alla salubrità del cibo prodotto.

In questo contesto l’Italia, a differenza di altri Paesi e di Francia e Germania in particolare, ha potuto contare – nonostante la frammentazione del suo tessuto produttivo e l’accesso al capitale fondiario – su una grande varietà di prodotti agricoli, grazie alle sue caratteristiche pedoclimatiche, e ha saputo sviluppare un gran numero di eccellenze alimentari.
I dati indicano che sono quasi 900 le “Indicazioni Geografiche” italiane , in cima alla classifica Ue, e 4.500 i prodotti tradizionali censiti. Questa capacità ha contribuito ad alimentare una cultura dell’enogastronomia e a creare un comparto agroalimentare che che complessivamente, secondo i dati del CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Economia Agraria) ha generato un fatturato, compreso il tabacco, di oltre 216 miliardi di euro.
E anche se l’Italia è scesa nel 2022 al terzo posto nella graduatoria Ue della produzione agricola, dietro la Francia e la Germania, proprio a causa del cambiamento climatico, dice l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare), il suo export agroalimentare ha comunque guadagnato quote.

Crisi economica, non solo climatica
Torniamo alla Politica Agricola Comune. Oltre al modello di sviluppo proposto, con i suoi limiti ambientali, la principale voce del bilancio Ue ha anche mantenuto e amplificato storture nel modello, trascurando evidenti squilibri di mercato e nelle dinamiche di prezzo. Ecco perché oggi il tema è quello di una transizione non solo ambientale ma anche economica urgente.
Le recenti politiche agricole europee, in linea con il Green Deal europeo – che punta alla neutralità climatica di tutti i settori produttivi entro il 2050 – sono state caratterizzate da un diverso approccio strategico: non più orientato ad incrementare la produttività, ma focalizzato sulle sfide poste dalla crisi climatica e ambientale.

In questo modo, la UE ambisce a promuovere un sistema alimentare sostenibile attraverso misure che coinvolgono l’intera filiera, dalla produzione al consumo introducendo importanti cambiamenti nelle forme di sostegno e meccanismi di accesso ai fondi a disposizione.
Ma produrre cibo, in particolare per le aziende di minori dimensioni e soprattutto per i costi delle materie prime e dell’energia, oggi è spesso poco sostenibile dal punto di vista economico.

Un piano nazionale per la transizione agroalimentare e tante misure concrete
“Alla luce dell’unicità del sistema alimentare italiano è necessario aggiornare la strategia nazionale, che deve rimanere coerente con gli indirizzi europei e valorizzare le peculiarità e i punti di forza del proprio modello e delle proprie eccellenze. Lo strumento può essere un Grande Piano Strategico Nazionale per la Transizione Agricola e Alimentare, per affrontare le sfide del settore, guidandolo nel cambiamento e aiutandolo a creare un futuro più sostenibile, utilizzando le risorse disponibili secondo alcune direttrici chiare e attraverso un approccio sistemico” – dichiara Stefania Radoccia, Managing Partner Tax & Law di EY in Italia.
Insieme, bisogna ripensare anche il modello di governance: per poter gestire la complessità di programmi e azioni, i fondi e gli interventi, per poter anticipare e affrontare le criticità, è necessario disporre di nuovi modelli organizzativi e nuovi strumenti per le politiche di sviluppo, evitando il rischio di sovrapposizioni e doppioni.

“Le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Piano Nazionale per gli Investimenti Complementari (PNC) – circa 8 miliardi di euro – possono essere una leva di trasformazione radicale del settore. L’attenzione comune rivolta dalla PAC e dal PNRR ai temi della sostenibilità ambientale, dell’innovazione tecnologica e dello sviluppo rurale rende evidente la complementarità tra questi due strumenti, e dunque la necessità di ripensare l’utilizzo dei diversi fondi nell’ambito di una governance unitaria” – Antonella De Simone, Business Unit Public Leader di EY in Italia.
Una questione centrale, sottolinea EY, è che il concetto di agricoltura intensiva va superato, riducendo l’impatto climatico e difendendo la biodiversità, ma non bisogna sacrificare la produttività. Questo significa sviluppare la capacità di utilizzare le risorse naturali aumentando l’efficienza. Per questo occorre un’agricoltura di precisione (precision farming). Negli ultimi anni si stanno diffondendo sistemi in grado di tenere sotto controllo le colture -misurandone le prestazioni e le esatte necessità, grazie a sistemi GPS, droni, sensori, impianti di irrigazione a goccia e altro ancora – utilizzando meno fertilizzanti e meno acqua.
E l’agricoltura di precisione può andare insieme all’agricoltura rigenerativa, che utilizzando pratiche scientifiche innovative e valorizzando le specificità e le culture locali è in grado di aumentare la fertilità e limitare l’erosione del terreno, riducendo la quantità di terre oggi degradate.

Non bisogna per forza puntare sulla concentrazione delle aziende. L’esperienza del vino italiano negli ultimi 30 anni dimostra che anche piccoli produttori, tramite meccanismi di aggregazione, possono raggiungere i livelli di efficienza necessari a rendere il prodotto competitivo a livello globale. La spinta all’aggregazione del prodotto e all’inserimento dei produttori nei programmi di filiera, quindi, va rafforzata ma alla luce di studi e scelte sulle filiere strategiche da incentivare.
Ancora, dice EY, bisogna valorizzare la tipicità italiana accompagnando – con maggiore promozione, impegno logistico, tutela delle eccellenze, concentrazione e standardizzazione dell’offerta, etc. – i prodotti di eccellenza sui mercati che sono in grado di remunerare meglio questo valore. E anche introdurre misure per abbattere i costi di certificazione, oggi normalmente a carico dei produttori, favorendo la partecipazione dei produttori agricoli alle produzioni certificate.

“È necessario rafforzare la collaborazione tra la filiera e reti di aziende, ripartendo meglio tra tutti i soggetti il valore generato dalla filiera, e condividendo un pensiero strategico comune tra tutti i player coinvolti. Attraverso la creazione di ecosistemi si possono veicolare più facilmente misure innovative, anche tecnologiche, di cui può beneficiare tutta la filiera. Va proprio in questo senso l’iniziativa di filiera Value for Food di EY, un tavolo di lavoro permanente che coinvolge industria, distribuzione, logistica e agrifood, reinventando le modalità di collaborazione lungo la filiera, che potrebbe essere promossa e diffusa su larga scala come standard di mercato da applicare al settore” – conclude Riccardo Passerini, Consumer Product & Retail Consulting Market Leader di EY in Italia.
E occorre anche una politica di prezzi in chiaro che mostri al consumatore finale il costo delle esternalità negative ambientali e sociali legate a un prodotto (impronta idrica, carbonica, ecc.), il prezzo del prodotto pagato all’agricoltore, nonché il costo del rischio legato alla catena del valore del prodotto (ad esempio i costi assicurativi).

Occorre, infine, rafforzare le competenze: la scarsa conoscenza delle procedure e la limitata esperienza nella gestione dei fondi da parte delle imprese rende più difficoltoso l’accesso e l’erogazione dei fondi per l’iniziativa privata, soprattutto in considerazione dei nuovi requisiti a sostegno della sostenibilità ambientale introdotti come condizioni di accesso dalla strategia europea e dalla PAC. Non bisogna tagliare fuori dal mercato i produttori più deboli, che invece vanno accompagnati verso un dinamismo imprenditoriale che è la vera ricchezza dell’agricoltura italiana, trasferendo loro nuovi know-how tecnici, gestionali e operativi, e favorendo l’innovazione nei processi di produzione.

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Scritto da: redazione

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