È tutto come lo si vede nel film “Un mondo a parte” , con Antonio Albanese. La strada centrale a dividere il paese per il lungo, le case antiche, il monte Marsicano e il monte Amaro a disegnare la cornice sullo sfondo e tutt’intorno i boschi del Parco nazionale d’Abruzzo. Nella pellicola di Riccardo Milani, Rupe è un borgo che per salvare se stesso lotta per salvare la propria scuola dalla chiusura. Ma Rupe non esiste, è solo un nome di fantasia. Nella realtà, Rupe si chiama Opi.
Ha meno di 400 anime, Opi. E no, la scuola elementare qui non c’è più già da qualche anno. I bambini vanno a Pescasseroli, una manciata di chilometri più a Sud. Ma come Rupe nella finzione, e come tutti i piccoli borghi di montagna nella realtà, anche Opi combatte contro lo spopolamento che colpisce le aree interne del Paese, dove molti dei servizi mancano e l’economia locale fatica ad assicurare uno stipendio a tutti. Sulle realtà come queste il film di Milani ha acceso un faro e offre anche la sua ricetta per una possibile via d’uscita. Ma come si resiste davvero oggi, a Opi, contro lo spopolamento?
La risorsa del turismo
Nel turismo c’è il primo anello della rete di salvataggio. Un’intuizione che viene da molto lontano. «Possiamo dire che il nostro comune ha dato i natali al Parco nazionale d’Abruzzo nel 1921, cedendo i primi cento ettari che hanno dato il via alla sua realizzazione» racconta il sindaco, Antonio Di Santo. Ad accordarsi, allora, furono l’onorevole Erminio Sipari, abruzzese doc, e don Alessandro Ursitti, parroco di Opi e fratello del sindaco, come nei migliori racconti di Guareschi. Con gli anni, le attività legate al Parco – dalla Forestale agli uffici pubblici per l’amministrazione – si sono andati ad aggiungere alla più tradizionale pastorizia. Fino a che il turismo è diventato il business più importante, capace persino di trattenere qualche giovane in paese: «Nel 2020 eravamo scesi a 370 residenti – racconta il sindaco – oggi siamo risaliti sopra i 380». Lo stesso Antonio Di Santo è la dimostrazione vivente che rimanere, per i giovani, si può. La “restanza”, la chiamano nel film di Milani. Ha 43 anni, due figli piccoli e di mestiere fa il commercialista e il revisore legale: «Sono stato a Pescara, poi a Milano, alla fine ho deciso di tornare».
Il primo cittadino nella realtà
Il sindaco di Opi, Antonio Di Santo
Anche i fratelli Ursitti, Ercole e Maria Adele, in un certo senso sono tornati. Per otto generazioni la loro famiglia ha fatto la transumanza, i sei mesi invernali nel Tavoliere foggiano, gli altri sulle montagne di Opi. Poi, finite le scuole, hanno deciso di diventare stanziali: «Noi ragazzi non volevamo più la vita nomade, la transumanza ti fa sentire di entrambi i posti e di nessuno», racconta Maria Adele, che ha 42 anni.
Così, insieme al marito e al fratello, ha riaperto la vecchia casa di famiglia ai Pretali di Opi e ha riempito gli ovili con 600 pecore: «Produciamo latte e formaggi che vendiamo direttamente nel nostro spaccio aziendale – racconta – online no, perchè funziona meglio quando i turisti vengono direttamente sul posto e insieme ai formaggi vendi anche la storia del territorio». Peccato che la stagione turistica non duri tutto l’anno. D’inverno come si fa? «Ci siamo organizzati – spiega – se gli animali partoriscono tutti a Pasqua, la lattazione va da aprile a fine agosto e si concilia bene con la presenza dei turisti in paese. Il grosso dei formaggi li vendiamo in estate, la rimanenza continuiamo a venderla nel fine settimana fino a dicembre, poi di fatto ci fermiamo».
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