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Vino dealcolato, la Gen Z lo vuole, Lollobrigida: “Un problema”

today18 Aprile 2024 55

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Il ministro della Sovranità Alimentare ne ha parlato in modo severo al recente Vinitaly. Ma di cosa si tratta? Come lo si produce? Che sapore ha? Vediamo

di FoodCulture
  

Il ministro Francesco Lollobrigida (Ansa), a destra, un gruppo di giovani con vari tipi di vino (Pexels)

Il ministro Francesco Lollobrigida (Ansa), a destra, un gruppo di giovani con vari tipi di vino (Pexels)


Ai giovani piace, la Generazione Z pare sia pronta a farne un suo simbolo, il mercato potenziale è importante e in Italia le resistenze al vino dealcolato lo sono altrettanto. A cominciare dal ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, che nel corso del Vinitaly che si è appena concluso ha detto: “Facciamo le bevande dealcolate ma non chiamiamole vino. Sul mercato ci sono già tante bevande non a base alcolica che derivano dall’uva e che possono avere un mercato a prescindere dal termine vino“. In sintesi, la rivoluzione No/Lo come già la chiamano tutti (e vedremo cosa significa) non aiuta il mondo del vino e anzi, lo danneggia. Ma è così? E’ soprattutto: di cosa sanno e dove si trovano i vini dealcolati?

Il nuovo scenario

Come spesso accade, l’Italia è fra i Paesi più lenti e diffidenti ad allinearsi il Regolamento UE 2021/2117 del 2 dicembre 2021 che  ha ufficialmente aperto alla commercializzazione dei vin dealcolati o, come definiti dall’hype di mercato e dalla Gen Z, i vini Lo/No (abbreviazione di Low Alcohol e No Alcohol). Qualcosa che amplia grandemente la potenziale platea di consumatori, avvicina i giovanissimi al consumo e somiglia per certi versi ad una versione ammorbidita degli smart drinks della prima ora, quelli che aveva un po’ di alcool, come i Breezer per fare un esempio. I timori: rendere “disordinato” il prestigioso mercato del vino ed esporre i più giovani a un consumo precoce di alcolici. Sul primo fronte, va detto che i produttori sono divisi fra chi è convinto che questo nuovo prodotto non toglierà un grammo alla secolare e prestigiosa vinificazione a pieno tasso alcolico e chi invece considera il dealcolato una minaccia. Sul secondo, si portebbe dire che le sbandate nell’alcolismo sempre più precoci sono già un problema e non dipendono certo da vini Low o No Alcohol. Lollobrigida non molla: “Arriveremo a una soluzione, credo possa essere trovata in una lingua bella come l’italiano, che ha la capacità di definire ogni cosa con una parola“. E’ proprio il termine vino ad essere messo in discussione. Ma capiamo meglio perché questo fenomeno sta prendendo piede.

Alcuni tipi di vini Lo/No, cioè a basso tasso alcolico o ad alcol zero (dal sito VirginWines)

Assaggiare il dealcolato non è così scontato

Trovare una bottiglia di dealcolato (che diversi marchi del nostro Paese hanno detto di non avere problemi a produrre) non è affatto facile. La diffidenza porta alla rarità di prodotto, che sta avendo un percorso accidentato in Italia come quello delle carni coltivate in laboratorio. Chi ha assaggiato il vino senza alcool (che sarebbe interessante per ragioni di salute, età, credenze religiose) lo ha trovato come una copia povera per gusto, aspetto e profumo del vino pienamente alcolico. Dati alla mano, in realtà il vino dealcolato non è esattamente sempre ad alcol zero ma per legge non deve superare il volume di 0,5%. Il vino Low Alcohol, cioè parzialmente dealcolizzato con un tasso alcolometrico compreso fra lo 0,5% e il 9%. Questi vini vengono ottenuti con la distillazione sottovuoto oppure il processo di osmosi inversa. La prima tecnica consiste in sintesi nella distillazione a 30 °C per la rimozione dell’alcol in eccesso. L’aroma ne può risultare impoverito. L’osmosi inversa consiste nella filtratura in una membrana dei composti che danno aroma e fenoli, con correzione successiva sul livello di zucchero e acidità. L’effetto finale “emula” il vino. Va detto che per dare il sapore definitivo al dealcolato si possono usare additivi e aromi chimici che hanno delle controindicazioni.

La previsione: ci sarà sempre più richiesta

Poi c’è il nodo dell’avvicinare ad una sorta di esperienza del vino sempre più giovanissimi, perché “tanto è poco o pochissimo alcolico”. Però all’estero il mercato è già partito e fra i giovani Gen Z si prospetta un piccolo boom (a crescere di volume). Qui in Italia tutto è molto più lento. Ma non sarà facile fermare l’onda. Perché l’ascesa di queste nuove bevande, nel report dell’International Wines and Spirits Record è stimata con una crescita del 6% costante fino al 2027

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