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Quando per superficialità o anche timore non diamo il consenso, in caso di decesso, di donazione degli organi in verità stiamo togliendo ad altre vita la possibilità di continuare il loro viaggio. La storia di Silvia che vi stiamo raccontando ve la possiamo raccontare perché c’è un uomo o una donna che ha dato il consenso all’asportazione dei suoi organi dopo la morte.
Prima il calvario
L’inferno per Silvia inizia nel 2006 quando le viene diagnosticata una malattia molto seria allo stomaco. Dopo l’intervento chirurgico e la pesante terapie, gli specialisti dell’ospedale materno infantile Salesi di Ancona, dove era in cura, scoprono che anche il fegato presenta lesioni importanti. Il tumore dilaga e gli oncologi non riescono a fermarlo mentre progredisce come evidenzia una Tac nel 2014. I sembrano non bastare neppure a calmare il dolore e i medici del Salesi affidano la ragazzina al direttore della Chirurgia Epatobiliare, Pancreatica e dei Trapianti, professor Vivarelli e alla sua equipe. Vivarelli propone un intervento chirurgico per ridurre il dolore, rimuovendo la metastasi più grande e i linfonodi dello stomaco: l’obiettivo è lasciare la malattia solo nel fegato, migliorare la sua qualità di vita e portarla al trapianto. L’intervento viene effettuato a dicembre 2014. Silvia viene inserita in lista di attesa per il trapianto di fegato, eseguito con successo nel gennaio 2015.
La rinascita
Oggi sono 9 anni da quell’ultima operazione che le ha ridato la vita grazie a qualcuno di molto generoso. Silvia sta bene, è guarita e si è sposata.
Nella giornata Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti l’Azienda ospedaliero universitaria (Aou) delle Marche ad Ancona testimonia l’importanza della donazione. “Senza quella donazione io oggi non potrei essere qui insieme a voi. – commenta Silvia – Da quel giorno è iniziata la mia vera vita: l’unica vita che conosco”. “La bellezza del sorriso e delle parole di Silvia ci inducono a riflettere – sottolinea l’Aou delle Marche – sull’alto valore dell’altruismo e dunque, ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte”. Questo che vi abbiamo raccontato è il primo trapianto al mondo per metastasi epatiche, causate dalla malattia insorta in età pediatrica. L’evento ha tale rilevanza internazionale che il professor Vivarelli e l’equipe, dopo quattro anni di follow up, pubblicano il caso clinico sulla rivista scientifica, l’American Journal of Transplantation.
Foto pixabay
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