I due laboratori sono stati pensati per due fasce di età differenti, per permettere al giovane pubblico, a seconda dell’età, di riflettere autonomamente sui peli, sui condizionamenti e sugli stereotipi legati al tema. Dopo una prima parte teorica, che attraverso letture di libri illustrati entrerà nel vivo della riflessione e del confronto sulla necessità o meno dei peli, ma anche sulla storia della depilazione, le bambine e i bambini potranno successivamente sperimentare, indossando una variegata gamma di peli finti colorati per inventare nuovi look lontani dalle norme imposte e sfatare, divertendosi, ogni pregiudizio.
La storia dei peli
Quella della depilazione è una storia antichissima che ha origine nella preistoria e che, dall’antico Egitto al Medioevo, dall’Ottocento agli anni Sessanta, ha attraversato le epoche per arrivare a noi, oggi, come un imperativo da seguire, influenzato soprattutto da modelli mediatici di bellezza sempre più denaturalizzanti a cui siamo perennemente sottoposti. Un costume che ha provocato un’ansia sociale dei peli che è possibile sconfiggere “Prendendo coscienza della naturalità della questione – dichiarano dal collettivo Fammi Capire – la peluria fa parte di noi essere umani, è necessaria ad alcune zone, persino bella a seconda di chi la guarda e soprattutto di chi la sfoggia, guadagnando la capacità di stare a proprio agio nel proprio corpo e nel proprio specifico modo e desiderio di volerlo esporre. Un processo di presa di coscienza lungo che richiede anni per arrivare a compimento perché riguardi tutte le persone, non solo quelle a cui in qualche modo è concessa una “stramberia” estetica, perché già considerate “belle” e “di successo””.
Qual è il rapporto dei giovani con i peli?
Sicuramente le persone giovani, le persone in generale, subiscono molto la pressione sociale verso specifici modelli estetici. Modelli e modalità che, a oggi, spingono a depilarsi o a sistemarsi i peli, nei vari punti del corpo, compresi i capelli, seguendo canoni precisi e profondamente condizionanti. La pressione sociale definisce i limiti entro cui le nostre scelte “estetiche” e di immagine si muovono perché è appunto dentro a questi limiti che la società ci considera parte di una “comunità” o meno, ci include o ci marginalizza.
Ovviamente ci sono delle sane sacche di resistenza a tutto questo, ma non solo sono ridotte e riducibili ad ambiti molto definiti e precisi, non sono nemmeno sufficienti a far sì che si diffonda un atteggiamento semplicemente positivo sull’argomento, che sia di accettazione della peluria o della depilazione. Quando si parla di resistenza alla pressione sociale e alla norma, dobbiamo essere consapevoli del fatto che si tratta di modelli “trasgressivi” che appartengono a specifici ambienti e gruppi sociali, spesso attivi dentro a battaglie più ampie sull’identità e i diritti di specifici gruppi di persone.
È cambiato qualcosa rispetto al passato?
Non possiamo dire se la pressione esterna sia aumentata o meno coi social network ma sicuramente si è trasformata, così come si sono trasformate le relazioni tra le persone e la loro percezione. La pressione sociale, inoltre, non arriva solo dai social network ma, anche, da tutti gli altri mezzi di comunicazione, primo tra tutti la pubblicità ma anche, ad esempio, la rappresentazione di persone di sessi e generi diversi nei videogiochi o nelle serie tv. Non solo questo. Come sappiamo, la pressione sociale che riguarda anche la presenza o meno di peli e capelli sul nostro corpo, si direziona in modi diversi e con diversa intensità a seconda della persona che si trova di fronte: se è maschio o femmina, se risponde o meno a standard di desiderabilità, se appartiene a un gruppo sociale o a un altro.
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