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Cinema

Come si trasformano gli uomini in primati ne Il Pianeta delle Scimmie?

today11 Maggio 2024 54

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Se avete letto la nostra recensione di Il Regno del Pianeta delle Scimmie, ricorderete sicuramente che due sono i grandi punti di forza del film: l’eccezionale impatto visivo del mondo postapocalittico messo in scena da Wes Ball e soci e il realismo straordinario nella rappresentazione dei suoi protagonisti scimmieschi, dalla bontà della loro realizzazione in computer grafica fino alla naturalezza delle loro movenze. Chiunque avrà visto la pellicola si chiederà come abbia fatto il cast a realizzare un pianeta Terra e delle scimmie senzienti così realistici, specie in un periodo in cui sembra che l’industria degli effetti speciali inizi a scricchiolare, in particolare per i grandi blockbuster delle major come Disney e Warner Bros.

Noi di Everyeye abbiamo avuto il piacere di parlare degli aspetti più tecnici dell’ultima produzione del franchise del Pianeta delle Scimmie con Alain Gauthier, Movement Director del film e con tre italiani che hanno lavorato alla sua realizzazione, ovvero Emiliano Padovani, Alessandro Saponi e Giuseppe Tagliavini, rispettivamente Look Dev Supervisor, CG Supervisor e Compositing Supervisor della pellicola. Ecco tutti i segreti che hanno condiviso con noi!

Un pianeta in continua evoluzione

Come forse saprete, Il Regno del Pianeta delle Scimmie è ambientato 300 anni dopo il suo prequel, The War – Il Pianeta delle Scimmie.

Negli ultimi tre secoli, la Terra è profondamente cambiata: la natura ha preso il sopravvento, gli esseri umani sono regrediti allo stato primordiale e le scimmie sono diventate sempre più intelligenti. «Questo mondo è frutto di tante suggestioni diverse – spiega Padovani – al punto che le professioni che hanno contribuito all’impostazione delle ambientazioni sono diversissime: si va dagli storyboarder agli art director, fino ai supervisori della Computer Grafica e a figure come la mia, specializzate nello sviluppo degli asset. Un Look Development Supervisor, in particolare, si occupa di decidere l’aspetto di tutti i personaggi e i materiali ancor prima che vengano “inseriti” nelle scene. La sfida è stata quella di rendere il nostro mondo distopico diverso da tutti gli altri: ormai, di ambientazioni simili se ne vedono davvero tante, nel mondo del cinema e della TV. Ad un certo punto, la domanda che ci siamo posti è cambiata rispetto a quella iniziale: anziché chiederci “a cosa ci ispiriamo?”, abbiamo iniziato a domandarci “da quali film e serie TV non dovremmo trarre ispirazione?”. Abbiamo ribaltato la convenzione, è stato davvero stimolante».

A immergere gli spettatori nella lussureggiante foresta in cui vivono Noa e la sua famiglia è una sequenza d’apertura con inquadrature larghe, parkour tra gli alberi e gli edifici in rovina, cavalcate all’impazzata e tante, tante scimmie. Potreste non aspettarvelo, ma è stata una delle scene più difficili da realizzare: «Con il mio team, ci siamo occupati della parte di illuminazione e rendering per la parte iniziale del film, in cui i primati si arrampicano sui palazzi e introducono il “nuovo” mondo a chi sta guardando», conferma Saponi. «Questa sequenza è stata realizzata in performance capture, una tecnologia ereditata dai procedenti episodi del franchise e perfezionata nel corso del tempo.

La particolarità di Il Regno del Pianeta delle Scimmie è che gran parte delle riprese per la scena iniziale sono state fatte “on stage”, su un set fisico: per questo, le condizioni meteo, l’illuminazione e le interazioni tra i personaggi sono così realistiche. Abbiamo trattato il film come un live-action in cui, a un certo punto, dei personaggi umani in tuta grigia vengono magicamente trasformati in scimmie. Il vasto ambiente che mostriamo nella sequenza iniziate doveva essere credibile: aveva il compito di simboleggiare il passaggio del tempo e, insieme, collegare il mondo del presente con quello del passato, con gli edifici umani in rovina e la natura che prende il sopravvento. Quella scena è stata uno sforzo produttivo e organizzativo davvero intenso: ci abbiamo messo quattro mesi e mezzo per realizzarla. E poi c’era la pressione emotiva: quelle inquadrature aprono il film, non potevamo sbagliarle».

Ma i punti critici del film – nonché quelli in cui Il Regno del Pianeta delle Scimmie mostra il suo virtuosismo tecnico – sono anche altri. Padovani, per esempio, racconta che «Il mio lavoro inizia ancora prima dello sviluppo delle scene: creiamo i personaggi e gli altri asset come delle entità a sé stanti, per capire come reagiscono con il resto dell’ambiente, con le altre figure in scena, con l’illuminazione, il fuoco e l’acqua.

Più una sequenza presenta delle interazioni tra questi elementi e più è difficile da realizzare, ma anche appagante. Nel film, per esempio, ci sono due combattimenti in acqua, uno nella prima metà della storia e uno nella seconda: per noi, queste scene sono tra le più complesse in assoluto, perché le interazioni con l’acqua sono numerose e vanno gestite tramite delle simulazioni dedicate. Poi ci sono gli scambi con gli altri personaggi: dobbiamo ricordarci ogni ferita, ogni taglio, ogni botta che ciascuna scimmia subisce nel corso del film e ricordarci di mostrarla in ogni scena». Tagliavini, invece, ha messo in evidenza la complessità delle sequenze girate in notturna: «Per noi del compositing, le scene più complesse sono state quelle al buio. Si girava di notte, con torce elettriche che dovevano essere rimpiazzate con i fuochi in computer grafica. Dovevamo far combaciare il crepitio dei falò e con quello delle torce: è un lavoro da fare a mano, di frame in frame, aggiustando intensità e luminosità delle luci. Poi ci sono le scimmie: ciascuna proietta un’ombra diversa, che va considerata singolarmente. Per questo, la scena dell’attacco iniziale al villaggio di Noa è stata una di quelle che hanno richiesto moltissimo tempo».

Dagli attori in carne e ossa alle scimmie

Ma come si trasforma un attore umano in una scimmia? A spiegarcelo è Alain Gauthier, Movement Coach della pellicola. «In Il Regno del Pianeta delle Scimmie, i personaggi hanno degli attributi fisici molto specifici, sono delle presenze che possiamo sentire fisicamente. Ma al contempo vengono ripresi in motion capture, il che significa che bisogna passare dalla figura umana alla sua versione “scimmiesca” tramite un avatar digitale, che poi è la creatura che gli spettatori vedono sullo schermo. Ciò significa che l’attore, con i suoi movimenti e le sue fattezze, deve essere il più simile possibile a una scimmia.

L’accuratezza nella mimica e nelle movenze è massima, per fare in modo che il risultato finale renda giustizia al personaggio e alla performance del suo interprete». Ma come si ottiene un effetto simile? La risposta di Gauthier è una sola: «Studio, tantissimo studio di tutte le scimmie che appaiono nel film. Ho studiato gli scimpanzé, gli oranghi e i bonobo: tra di loro ci sono delle differenze enormi, tanto a livello di struttura e di fisiologia quanto nel modo in cui si muovono e si comportano. Ho passato settimane a informarmi sulle scimmie per apprendere quante più informazioni possibile. Ho letto tanti articoli accademici e studi comparativi: il mio scopo era quello di capire i primati. Poi ho imparato a muovermi io stesso come loro: sono stato un performer per 25 anni, perciò per me l’apprendimento è innanzitutto una questione fisica. Infine, ho insegnato agli attori come entrare nel proprio personaggio, sulla base di quello che avevo imparato».

Il merito della sensazionale resa finale dei primati di Il Regno del Pianeta delle Scimmie, conferma Gautier, è anche di attori e stuntman: «Avevamo degli stuntman incredibili sul set, alcuni con un’esperienza impareggiabile.

Un insegnante di combattimento era un ex-atleta professionista, sette volte campione mondiale di Taekwondo. La sua esperienza nella lotta si è tradotta in tantissime lezioni con gli attori. E il lavoro non finiva qui: le controfigure eseguivano le coreografie fino a quando eravamo certi che le movenze e il ritmo ci piacessero, poi le insegnavano agli attori, che alla fine eseguivano le acrobazie in prima persona. La passione che gli attori hanno messo negli stunt è stata incredibile: hanno avuto un ruolo centrale, hanno eseguito quasi tutte le sequenze d’azione senza alcun aiuto, con l’eccezione delle scene più pericolose. Il mio ruolo, in tutto questo, era di assicurarmi che ciò che giravamo sembrasse il più realistico possibile: anche nei momenti più forsennati, dovevamo essere certi che le scimmie restassero protagoniste delle azioni, che non potevano sembrare “umane”. Il problema non era solo quello di insegnare agli attori a combattere, ma anche di indurli a farlo come se fossero dei primati». Volete un ulteriore elemento di complessità? Le scene a cavallo e quelle con le aquile: trasformare degli umani in scimmie non è semplice, e ancor meno lo è se queste scimmie hanno appreso la falconeria nel corso dei secoli.

«L’uso dei falchi e delle cavalcature è quasi sempre stato gestito separatamente dal resto, con degli specialisti presenti sul set e ambienti molto, molto controllati. Spesso abbiamo optato per la computer grafica: il lavoro con i falchi era gestito a parte da quello con gli attori umani, e in diversi casi gli animali erano sostituito da dei manichini. Tuttavia, quando parliamo di Il Regno del Pianeta delle Scimmie, parliamo dello stato dell’arte della computer grafica. Quando ho visto le clip finali sono rimasto estasiato, potevo riconoscere i singoli attori dietro a ogni scimmia».



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Scritto da: redazione

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