di Ansa
(ANSA) – PERUGIA, 13 LUG – L’assenza di un amico, promoter o
manager che sia poco importa, ma anche il tempo che passa,
quando la gioventù varca la “linea d’ombra” per caricarsi sulle
spalle il peso della responsabilità, il peso di quell’ombra; del
resto, “il tempo non si è mai sposato, per questo fa quello che
vuole”: cita Conrad e si autocita Vinicio Capossela per riaprire
il capitolo del suo fortunato disco di trent’anni fa “Camera a
sud” sul palco di Umbria Jazz, con un concerto dedicato
all’amico promoter perugino Sergio Piazzoli a dieci anni dalla
sua scomparsa.
Ma anche Richard Galliano, nel live di apertura con il New
York Tango Trio, ricorda il suo manager Mario Guidi, anche lui
prematuramente scomparso, e con cui il fisarmonicista ha
lavorato in Italia, dedicandogli “Oblivion” di Astor Piazzolla.
È stata una prima serata del festival a Perugia ricca di
emozioni e di ricordi quella andata in scena ieri sera all’Arena
Santa Giuliana, con l’omaggio quindi anche a due umbri, Piazzoli
e Guidi, che hanno fatto molto per la musica. Erano in circa
4mila i fortunati che hanno affollato una arena trasformata, con
spazi in platea allargati, per prepararsi già al concerto-evento
di Lenny Kravitz di questa sera dove sono attesi oltre 11mila
paganti.
“C’è un’anima grande che ci accompagna questa sera, un’anima
che ha dato tanto alla musica” ha affermato Capossela
riferendosi a Piazzoli, per poi aggiungere: “Ogni volta che
ascolto una buona canzone lo sento accanto a me”. A Sergio
dedica poi “L’absent” di Gilbert Bécaud, nella versione italiana
con parole nette e inequivocabili come “che dura è da portare
l’assenza dell’amico”. Di Capossela Piazzoli fu infatti uno dei
primi estimatori e soprattutto grande amico. Il concerto del
cantautore è stato organizzato così da Umbria Jazz in
collaborazione con il Comitato “Per Sergio Piazzoli” e inserito
all’interno degli eventi “Sergino Memories”.
Prima del suo concerto, durante la giornata perugina,
Capossela ha voluto anche visitare la mostra commemorativa
“Dieci anni senza Sergio Piazzoli” al Cerp della Provincia di
Perugia (Rocca Paolina), per poi inaugurare la “Panchina sonora”
ai Giardini del Frontone realizzata sempre in memoria del grande
organizzatore di concerti che ha lasciato una forte impronta
nella scena musicale umbra.
Capossela ad inizio concerto (per lui è stato un ritorno
all’edizione estiva di Umbria Jazz dove aveva suonato solo nel
2001 con il repertorio di “Canzoni a manovella” assieme a Marc
Ribot) ha aperto con la traduzione della toccante preghiera
“Abide with me”. Un “non pezzo” cantato in italiano, “Sopporta
con me”, con il quale ha voluto accendere i riflettori
sull’attualità, affermando poi: “Non si può sopportare quello
che succede nella Striscia di Gaza e nelle altre guerre, la
musica deve alzare la voce per chiedere di fermare la cultura
della morte per supportare invece la cultura della vita”.
Presentando poi la band, tra “vecchi amici e grandi
musicisti”, ha eseguito uno dopo l’altro i brani di “Camera a
sud” che appartengono al periodo in cui studiava gli standard e
che quindi nella scrittura hanno dimostrato ancora una certa
attinenza coi mondi presenti su un palco di un festival jazz.
L’avvio è stato con “Non è l’amore che va via”, tra l’altro
anche il pezzo del disco preferito di Piazzoli e scritto, come
il resto dell’album, nella loro fase di più forte
frequentazione. Una grande amicizia tra i due intimamente legata
a quel lavoro discografico. Immancabile anche “Che cos’è
l’amor”, eseguita insieme ad un “fratello del bepop” come Piero
Odorici, ma anche qualche incursione esterna come “Estate” di
Bruno Martino e la sua “Modì” con protagonista anche Richard
Galliano richiamato sul palco.
C’è tempo anche per un gran finale, dopo aver ricordato con
un calice di vino in mano che ormai “si beve solo a fine
lavoro”. Rientrato in scena indossando una maglietta ufficiale
del festival Umbria Jazz satiricamente rivista con la scritta
“Ubriachezz”, Capossela ha salutato tutti con un classico delle
sue scorribande come “All’una e trentacinque circa”, la canzone
che dà il titolo al suo primo album datato 1990. (ANSA).
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di Ansa
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