Il Festival Puccini di quest’anno ricorda i cento anni dalla scomparsa del maestro, e per questo Pier Luigi Pizzi – direttore artistico e regista di alcuni spettacoli – ha pensato un cartellone che ripercorresse i titoli giovanili di Puccini, poi le sue prime affermazioni, per giungere all’incompiuta Turandot (però proposta così come ce l’ha lasciata il compositore, alla morte di Liù, senza la fuorviante conclusione chiesta a Franco Alfano).
Torre del Lago
Nel teatro all’aperto di Torre del Lago, l’inaugurazione è così affidata a un dittico alquanto inusuale: “Le Willis” (1884) ed “Edgar” (1889), gli esordi, appunto, di Puccini, nel teatro musicale. Un’opera-ballo la prima, presentata nella sua versione originale in un atto (diventerà poi “Le villi”, titolo italiano suggerito, per praticità di smercio, dall’editore Ricordi); un dramma lirico, la seconda, discontinua negli esiti, qui fatta ascoltare anch’essa nella sua prima versione in quattro atti, ma che in realtà è filologia a metà, perché mantiene diversi tagli apportati poi da Puccini. Dice che presentarla nella sua originaria interezza avrebbe portato a una durata eccessiva della serata: pericolo in realtà non scongiurato, perché l’abbinamento ha impegnato il pubblico per più di quattro ore. Anche troppe. Entrambi gli spettacoli affermano la volontà di Pizzi di ottenere la migliore comprensibilità narrativa, di raccontare quel c’è da raccontare. E questo grazie principalmente al grande ledwall che occupa l’intero sfondo del palcoscenico, sul quale scorrono evocative immagini tridimensionali (il disegno video è di Matteo Letizi), tutte pertinenti alla vicenda: dalle tipiche candide casette da villaggio delle Fiandre in “Edgar”, agli alberi fioriti di bianco, tanti alberi fioriti che se in “Edgar” fanno da sfondo naturale nelle “Willis” seguono simbolicamente la triste vicenda, diventano quasi spettrali, si fanno spogli nei rami.
In spettacoli accomunati da una spiccata dimensione visuale, e nei quali la tipica essenzialità di Pizzi si esprime anche nel semplice monocromatismo degli abiti, a barcollare è “Edgar”: vuoi perché la sensazione è che Puccini non abbia ancora ben chiaro quale strada imboccare, vuoi perché Vassilii Solodkyy è un protagonista debole nell’espressività e negli acuti, Katevan Kemoklidze è una Tigrana più sguaiatamente cattiva che seducente, e Lidia Fridman, come Fidelia, conquista un intenso lirismo solo a metà opera; regge invece bene Vittorio Prato, un Frank dalla voce levigata con morbida flessibilità. Convince assai di più, e lui stesso è più convinto, Massimo Zanetti quand’è sul podio per “Le Willis”: lettura incalzante e salda, la sua, dove anche i complessi del Festival Puccini danno il meglio, e dove ancora la Fridman (Anna) offre stavolta un’interpretazione più coerente, poggiando la tenerezza d’inflessioni sulla sicurezza vocale. Accanto a lei, l’autorevole Guglielmo di Giuseppe De Luca e, soprattutto, il Roberto di Vincenzo Costanzo, che s’impone per il bel timbro smagliante. E se “Le Willis” riescono meglio, il merito è anche delle eleganti coreografie classicheggianti firmate da Gheorghe Iancu.
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