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Morto John Mayall, voce della rifondazione britannica del blues

today24 Luglio 2024 17

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Il blues sin dalla sua nascita è stato affare di neri. Poi, negli anni Sessanta, è arrivato John Mayall e si è messo addosso il blu, il rosso e il bianco della Union Jack, ha preso la carnagione rossiccia delle genti di Gran Bretagna diventando quel fenomeno globale che non poteva essere ai tempi di Robert Johnson e Muddy Waters. Tutto questo per dirvi che cosa perdiamo con John Mayall, cantante e polistrumentista inglese morto al caldo della California a 90 anni suonti. Bluesman alla guida dei suoi leggendari Bluesbreakers, certo, ma forse dovremmo dire anche talent scout. Perché Eric Clapton, Peter Green, i Fleetwood Mac e Mick Taylor non sarebbero stati quello che sappiamo senza il suo fiuto. Perché seminare, certe volte, vale più che raccogliere.

Artista «underground» fino alla fine

«Non ho mai avuto un disco di successo, non ho mai vinto un Grammy e Rolling Stone non ha mai fatto un pezzo su di me», diceva quando di anni ne aveva ancora una ottantina. «All’età che mi ritrovo sono ancora un artista underground». Beh, al Grammy c’era andato vicino in età avanzata con Wake up call (1993) e The Sun is shinig down (2022), la Corona Britannica lo aveva consolato con il titolo di Officer of the Order of the British Empire nel 2005 ma la sua non è una storia di riconoscimenti, è una storia di riconoscenza: quella di chi, grazie a lui, è partito per la grande ribalta. E quella di chi, grazie ai suoi dischi, si è accostato al triangolo magico di tonica-sottodominante-dominante.

Il bluesman che venne dal Nord

Arrivava da Macclesfield, non troppo lontano da Manchester: «L’unico motivo per cui sono nato lì è che mio padre era un bevitore incallito, e lì era il suo pub preferito». Papà, al di là delle contraddizioni, suonava anche la chitarra e il banjo e i suoi dischi di piano boogie-woogie non mancarono di affascinare il figlio adolescente. Che meraviglia il piano: Mayall imparò a suonarlo una mano alla volta: un anno con la sinistra e uno con la destra, «così per non incasinarmi». Il pianoforte resta il suo strumento principale, presto affiancato da chitarra e armonica, ma il suo marchio di fabbrica diventerà quella voce stridente ai limiti del falsetto che in terra d’Albione aprirà le porte a una nuova meravigliosa generazione di cantanti, imprecisi per cifra stilistica o forse per necessità. Vedi alla voce Mick Jagger.

Londra e l’avvento dei Bluesbreakers

Con questo bagaglio addosso, Mayall nel 1962 si trasferisce a Londra con l’obiettivo di unirsi ad Alexis Korner che prima di tutti gli altri aveva ipotizzato una via britannica al blues. Finirà col fondare i Bluesbreakers, più di una band: una comunità aperta di musicisti – tutti fan del blues elettrico di Chicago e tutti mostruosamente bravi – che entrano ed escono in formazione mettendoci del loro. Quando suonano con John, servono John. Quando suonano altrove fanno la storia del rock. La più grande preda di Mayall fu Clapton che aveva lasciato gli Yardbirds e si era unito ai Bluesbreakers nel 1965 perché insoddisfatto della direzione commerciale intrapresa dalla band (se proprio si può definire commerciale una canzone come For your love). Insieme daranno vita a Blues Breakers with Eric Clapton (1966), il leggendario disco di «Beano», dove Manolenta suona la Les Paul e infila a tradimento il riff di Day Tripper in What’d I say.

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Tra Peter Green e Mick Taylor

A uno così gli fai fare quello che vuole e infatti Mayall tollerava eccome l’indole di Clapton: se ne andò pochi mesi dopo essersi unito alla band, per poi riapparire più tardi nello stesso anno, mettendo in disparte l’appena arrivato Peter Green, per poi lasciare definitivamente il progetto nel 1966 con Jack Bruce e andare formare i Cream. «In una certa misura ho usato la sua ospitalità, la sua band e la sua reputazione per lanciare la mia carriera», dirà un giorno Manolenta. Che senza Mayall non avrebbe mai trovato il coraggio di cantare Ramblin’ on my mind, così come Peter Green non avrebbe mai trovato il coraggio di scrivere canzoni e fondare i Fleetwood Mac. Mick Taylor, che succedette a Green come Bluesbreaker alla fine degli anni Sessanta prima di andare a incidere i dischi decisivi dei Rolling Stones, apprezzava l’ampia libertà che Mayall concedeva ai suoi solisti: «Avevi la completa libertà di fare quello che volevi». E, facendo quello che volevi, trovavi la tua strada.



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Scritto da: redazione

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