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Ambiente

Il distretto delle carni di Sicilia rischia di sparire per mancanza d’acqua

today4 Agosto 2024 16

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A bordo di una strada sterrata di campagna, in una vasca piena d’acqua, che da queste parti si chiama gebbia secondo un’origine rigorosamente araba, ci sono pesci rossi che sembrano spigole, tanto sono grossi. Un pugno violento nello stomaco, in queste campagne debilitate dall’arsura e dalla mancanza di piogge. Eppure va così, in questo pezzo di terra di Sicilia, tra gli uliveti e i campi coltivati di San Mauro Castelverde, in provincia di Palermo. Chi tanto (i pesci rossi), chi niente (vacche, pecore e così via) a morir di sete o peggio spediti al macello anzitempo dagli allevatori che non riescono più a garantire né acqua né foraggio.

Zootecnia in ginocchio

Scene da un disastro atteso e annunciato: «Già l’anno scorso avevamo avuto forti segnali, quest’anno la situazione è precipitata» dice Giuseppe Giaimo, agronomo e allevatore insieme al fratello con oltre 130 vacche: la sede dell’azienda è nel territorio di San Mauro Castelverde (produce anche un olio straordinario) ma in questo momento gli animali pascolano nella zona di Nicosia, in provincia di Enna, come avviene tutti gli anni. E poi aggiunge: «L’intero sistema è in grande difficoltà: in molte aree non c’è stato raccolto di grano, non c’è stato raccolto di foraggio. Ma se sparisce la zootecnica sparisce l’agricoltura siciliana. E i segnali ci sono tutti. Il voucher fieno è un palliativo anche perché il sistema è troppo farraginoso e addirittura costoso per dare un vero beneficio». Parola di uno che sta in campagna ogni giorno dell’anno perché gli animali mangiano e bevono tutti i giorni e hanno bisogno di attenzioni continue: «L’anno prossimo vedremo i veri effetti di questa annata così negativa. Gli allevamenti rischiano di essere dimezzati e non solo sulle Madonie» dice Giaimo.

Il panorama tra San Mauro Castelverde e Gangi, a poco più di mille metri sul livello del mare, è segnato da questa estate rovente: persino gli ulivi mostrano sofferenza e fanno temere il peggio. Per il resto tutto è come sembra: scotto come se il buon Dio avesse dimenticato il forno acceso. Certo non è il deserto perché a pochi chilometri di distanza si estende per migliaia di ettari il bosco lussureggiante e verde del bosco del Parco delle Madonie. E qui tutti lo sanno che è un problema di pressione dell’uomo, lo hanno imparato dai padri, dai nonni. Siamo al punto e per andare a capo non basta la buona volontà: «Abbiamo tra 400 e 500 aziende agricole di cui 350 zootecniche con bovini e ovini – dice Giuseppe Ferrarello, sindaco di Gangi, tra i borghi più belli d’Italia – ho disposto il sequestro di un pozzo di un privato e da lì ogni giorno parte l’acqua per gli allevamenti con una media di 300mila litri al giorno». L’acqua è gratis ma l’autobotte no e chi non ha la possibilità paga caro. Costi su costi: una rotoballa di fieno costa 60 euro e solo due anni fa ne costava 15.

Questi sono i numeri severi e gravi che mettono in discussione la sopravvivenza di quello che è un piccolo distretto delle carni che ruota attorno al macello con una organizzazione di produttori dedicati solo alle carni di Sicilia: 150 allevatori e la presenza in 35 punti vendita con prodotto a marchio “Carni di Sicilia”. E certo non basta il fatto che non nevica (sulle Madonie sono sparite le neviere che un tempo garantivano il ghiaccio per i cibi agli accaldati cittadini di Palermo e non solo), che non piove ma anche il sottosuolo ci mette la sua: non ci sono molte falde a portata di mano e quando si trovano l’acqua è salata o puzzolente perché qui siamo in un’area particolare, poi non così distante dalle miniere di sale. E non è un caso che da qui si muove il fiume Salso che gli arabi chiamavano “il fiume salato”. E quando l’acqua si trova ma non si può usare agli agricoltori viene da smadonnare manco fossero tanti piccoli Mastro don Gesualdo.

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Crolla il valore della carne

Perché senz’acqua si pone anche un problema di valore della carne, di resa: «In questo contesto così complicato abbiamo animali più fragili e più magri e questo ovviamente incide anche sul prezzo delle mezzene: il prezzo varia tra 2,30 e tre euro al chilo ma un animale più asciutto ha meno carne e dunque da un punto di vista economico rende di meno» spiega ancora Giaimo. Ed è un altro aspetto di questa vicenda: in concreto significa meno incassi ma più spese per il mantenimento degli allevamenti per «ingrassare gli animali».



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Scritto da: redazione

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