di Ansa
(di Paolo Biamonte)
(ANSA) – ROMA, 04 AGO – Trent’anni fa, il sei agosto 1994, se
ne andava Domenico Modugno. Tre decenni sono un tempo lungo ma
forse proprio per questo rendono ancora meglio l’idea
dell’importanza eccezionale del personaggio, mai uscito della
memoria collettiva perché, nella storia dello spettacolo
italiano, continua a rappresentare una splendida eccezione.
Modugno, artisticamente parlando, è stato infatti un
rivoluzionario che non solo ha cambiato più volte le regole e i
codici della canzone italiana ma ha incarnato quella figura di
entertainer completo, che nella nostra tradizione ancora oggi è
una rarità: una figura di artista capace di essere, oltre che
autore, attore, cantante, conduttore, sul palcoscenico come sul
piccolo e grande schermo mantenendo intatta la sua forza
espressiva.
Aveva un carisma fuori dal comune e una fisicità dal fascino
magnetico, un talento innato coltivato seguendo i corsi del
Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma che gli permetteva
di dominare la scena.
E’ stato il primo a portare al successo la musica Folk
quando, all’inizio della carriera, lui pugliese di Polignano a
Mare, usava un dialetto salentino molto simile al siciliano
tanto che agli inizi della carriera si spacciò per siciliano
aprendo così una ferita con i suoi conterranei, che si sentivano
traditi, che si sanò definitivamente solo il 26 agosto 1993
quando, praticamente un anno prima della morte, fece un concerto
nella sua Polignano davanti a 70 mila persone.
“Chiedo scusa –
disse – ma per la fame avrei detto anche di essere giapponese!”.
Al Festival di Sanremo del 1958 con “Nel blu dipinto di blu”
ha cambiato per sempre il corso della canzone italiana,
liberandola dalla retorica e dai luoghi comuni melodici: le
braccia spalancate durante il ritornello swingato sono ancora
oggi la pietra miliare della moderna canzone italiana.
Grazie a “Volare”, come poi è stata chiamata in tutto il
mondo, Modugno è stato il primo cantante pop italiano a
conquistare prima l’America e poi il mondo intero, il primo a
vincere un Grammy, il primo artista veramente internazionale che
non fosse un tenore specializzato in arie d’opera o canzoni
napoletane.
Non c’è, nella storia dello spettacolo del nostro Paese, un
artista che sia stato capace di avere un successo così eclatante
nella musica e nel teatro, dove dagli spettacoli di Garinei e
Giovannini alla meravigliosa edizione dell'”Opera da tre Soldi”
firmata da Giorgio Strehler in cui era un perfetto Mackie Messer
accanto a Milva, splendida Jenny delle Spelonche, è stato un
vero e proprio mattatore che ha lasciato un segno profondo anche
in televisione.
In lui convivano un’anima popolare e lo spirito di un artista
capace di lavorare con Eduardo De Filippo e Quasimodo, di
cantare “Piange il telefono” e testi di Pier Paolo Pasolini,
compresi i titoli di testa di “Uccellacci Uccellini”.
Un cultore del dialetto, che considerava lo strumento
espressivo naturale degli italiani, che usava con naturalezza il
napoletano e che ha lasciato una grande canzone “in lingua” come
“Resta cu’mme”, diventata un classico della musica di Napoli.
Un uomo dal carattere complesso che negli ultimi dieci anni
della sua vita è stato duramente colpito nel fisico, costretto
su una sedia a rotelle: sono gli anni del suo ingresso in
politica, eletto prima alla Camera con i Radicali, diventò
Senatore nel 1990 impegnandosi nella difesa dei diritti dei
disabili.
La menomazione fisica non gli impedì di riprendere la sua
attività dal vivo, in esibizioni che erano la dimostrazione di
una vitalità fuori dal comune, di un uomo che non si arrendeva a
nessun costo alla malattia. (ANSA).
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