di Ansa
(di Francesca Pierleoni)
(ANSA) – LOCARNO, 11 AGO – Un’amnesia improvvisa per non
vivere il dolore di aver appena perso la moglie: è il buio nel
quale finisce il 65enne Gian (Andrea Renzi), professore di
etmomusicologia protagonista di Sulla terra leggeri, opera prima
di Sara Fgaier (già montatrice per Pietro Marcello), con Sara
Serraiocco, Emilio Francis Scarpa (interprete di Gian ventenne)
e Lise Lomi, secondo film italiano in gara al Locarno Film
Festival e più avanti in sala con Luce Cinecittà.
Un racconto composto da fiction, suggestioni e immagini
d’archivio, che viaggia in dimensioni temporali diverse, tra
Italia e Tunisia (la sceneggiatura è firmata dalla regista con
Sabrina Cusano Maurizio Buquicchio). “La primissima volta in
cui ho deciso di fare un film mio è stata 15 anni fa – spiega
Fgaier -.
Sento di essermi preparata a lungo. Qui ho unito testi
che mi avevano segnato, diventati un’unica voce, ricerche sui
sogni, sul lutto, i rituali, in Italia e Nordafrica. Tutte
esperienze che riconfigurano spazio e tempo e ci riportano ai
bisogni primari, per uscire del nostro ego”. La regista ha messo
l’amore al centro del film, perché è qualcosa che segna “un
prima e un dopo, non si esce mai, dopo averlo vissuto senza
essere cambiati”.
Nella storia Gian, come in un’atmosfera da mystery, inizia a
ricomporre i suoi ricordi quando la figlia Miriam (Serraiocco),
che il professore non riconosce più, gli consegna un diario
scritto dall’uomo in giovinezza sul suo grande primo amore,
Leila. “Interpretare Miriam – dice Serraiocco – mi ha subito
affascinato, è una donna molto matura che ha il compito di
riportare in vita le memorie del padre. Lei subisce un duplice
lutto: dopo la madre perde anche il papà, perché con
quell’amnesia vede che la figura paterna le si disintegra
davanti… “.
Il personaggio che interpretiamo Emilio ed io si compone di
tempi diversi – osserva Renzi -. Siamo stati accomunati dalla
sensibilità di Sara sul set, dal suo essere alla ricerca di
qualcosa di necessario “. Il tono mystery “è un elemento che era
ancora più presente in sceneggiatura – aggiunge Fgaier -. Quella
di Gian è un’indagine, la ricostruzione del passato, che lo
porta a scomparire, rinascere, e avere una seconda possibilità
con un cambio di prospettiva. Nella memoria continuiamo a far
vivere le persone. È qualcosa di potente. In fondo i morti non
sono tali finché non decidiamo di dimenticarli”. (ANSA).
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