“Effetto Eco” è la nuova serie audio di Audible che fonde il crime e la fantascienza, con un cast d’eccezione composto da Filippo Nigro, Fatima Romina Alì e Francesco Pannofino. La produzione esclusiva, disponibile su Audible.it dal primo novembre, porta gli ascoltatori in un viaggio sonoro che sfrutta una tecnologia di registrazione avanzata, creando un’esperienza immersiva per il pubblico. La storia ruota attorno al personaggio di Massimo Riversi, detto Max, interpretato da Filippo Nigro, un ex poliziotto in grado di percepire tracce sonore dal passato. Max viene coinvolto in una serie di indagini insieme con il detective Fausto Colombo (Francesco Pannofino) e alla collega medico legale Delia Del Vaux (Fatima Romina Alì), dove la sua capacità soprannaturale lo conduce sulle tracce di un oscuro serial killer noto come “Barbablù”.
La serie, che si sviluppa in otto episodi, esplora crimini misteriosi ambientati a Torino, con ogni episodio caratterizzato da un titolo ispirato ai suoni che guidano le indagini, come “Ticchettii”, “Sinfonie” e “Sussurri”. Attraverso un design sonoro originale, un’orchestra di diciotto elementi e l’utilizzo di microfoni speciali con archetto che hanno permesso agli attori di muoversi liberamente durante la registrazione, “Effetto Eco” riesce a trasmettere un senso di realismo che fa vivere l’azione in prima persona, immergendo l’ascoltatore in un’esperienza sensoriale che va oltre la narrazione visiva. “Effetto Eco” rappresenta una sfida affascinante per il cast e per il pubblico, offrendo una nuova dimensione all’intrattenimento audio, dove il potere evocativo della voce e dei suoni diventa il principale veicolo per trasmettere emozioni e tensione. Ne abbiamo parlato con il protagonista, Filippo Nigro.
Com’è stato lavorare alla serie? Affrontare questo medium, un po’ diverso dal solito, deve essere stata una sfida.
Si tratta di un progetto unico: un podcast che in realtà è una vera e propria serie originale, in esclusiva per Audible. Ho affrontato la sceneggiatura come se fosse una serie “normale”, tanto era coinvolgente il racconto. Il mio personaggio è un detective che perde il lavoro e viene travolto da un dramma personale, la perdita di sua figlia, che viene uccisa. Lui, sconvolto, lascia la squadra mobile di Torino e cade in una profonda depressione. Successivamente, cerca di ricostruirsi e inizia a lavorare come metronotte, isolato e abbandonato a se stesso, finché il suo ex compagno di squadra, interpretato da Francesco Pannofino, gli chiede di collaborare su alcuni casi di omicidio.
La voce sarà stata centrale per rendere al meglio tutte queste sfumature.
Sì, assolutamente. Abbiamo lavorato molto sulla voce, specialmente all’inizio, insieme a Marco Mete, il regista. Il personaggio di Max, il mio, è costruito anche in contrasto con quello di Fausto, interpretato da Pannofino, che è più energico ed esplosivo. Max, invece, è molto riflessivo, parla ad alta voce con se stesso in alcune scene, ma non come narratore, sono veri e propri momenti di solitudine e introspezione. All’inizio della serie, il tono della sua voce è rallentato, è un personaggio abbandonato a se stesso. Man mano, però, riprende energia, anche perché inizia a intravedere la possibilità di risolvere il caso di sua figlia.
Questo progetto sembra aver richiesto uno sforzo speciale dal punto di vista recitativo. Pensi che possa rappresentare un ritorno all’uso del formato audio per il grande pubblico?
È possibile. Ci sono nuove tecnologie e un’attenzione particolare alla qualità del suono: avevo l’archetto con tre microfoni, una post-produzione avanzata e degli effetti sonori curati. È un’esperienza sonora immersiva, diversa dal classico podcast che siamo abituati ad ascoltare, e con un’enfasi su immagini mentali che lo spettatore crea nella sua testa. È come una versione moderna di quei radiodrammi che facevano leva solo sulla parola, come la storica trasmissione della “Guerra dei Mondi”. La sfida era trasmettere tutto senza immagini, usando solo la voce per creare l’atmosfera e il coinvolgimento.
Questa esperienza di recitazione è stata molto diversa da quella del doppiaggio?
Sì, è stata una differenza enorme rispetto al doppiaggio. Nel doppiaggio spesso bisogna correggere i suoni o adattarsi alla presa diretta, ma in questo caso avevo più libertà. Anche se lavoravo col microfono, potevo muovermi un po’, cosa rara nel doppiaggio. C’erano comunque limiti – alcuni rumori ambientali dovevano essere evitati – ma è stato un lavoro più fisico e dinamico. Avevo anche il testo visibile su schermi davanti a me, quindi potevo concentrarmi di più sull’interpretazione. È stata un’esperienza intensa e stimolante.
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