C’è un detto antico, molto popolare tra i musicisti di professione: chi viene dal jazz può fare quello che vuole. La prova – ci verrebbe da aggiungere – si chiama Quincy Jones, quello straordinario pezzo di storia della musica che se ne va adesso, alla bellezza di 91 anni, tra i lussi della sua casa di Bel Air. Compagno d’infanzia di Ray Charles, trombettista per Lionel Hampton, arrangiatore per Count Basie, autore di colonne sonore indimenticabili come quella de Il colore viola (1985), produttore del Frank Sinatra di L.A. is my Lady (1984) e soprattutto di Michael Jackson, con il quale concepì il capolavoro Thriller (1982), organizzatore musicale dell’esperimento benefit We are the World (1985), il vecchio Quincy è stato anche il primo nero a ricoprire un ruolo centrale nel music business americano, quindi mondiale. E, per non farsi mancare niente, ha inciso a firma sua almeno tre album fondamentali: Big Band Bossa Nova (1962), Smackwater Jack (1971) e The Dude (1981), tre dischi che ne sintetizzano magnificamente la parabola creativa tra suggestioni sudamericane, funky e pop.
Quincy Jones in una recente apparizione (Epa)
Ventotto Grammy e 500 milioni di patrimonio
L’elenco di riconoscimenti ricevuti in carriera riempie 18 pagine della sua autobiografia Q: 28 Grammy (su 80 nomination), un Oscar alla carriera e un Emmy per Radici. Ha ricevuto anche la Legion d’Onore francese e il Premio Rodolfo Valentino dalla Repubblica Italiana. Nel 2001, Jones è stato nominato Kennedy Center Honoree per il suo contributo alla cultura americana. «Nonostante tutti i Grammy, i premi speciali e le testimonianze che la maturità conferisce, saranno sempre i valori che porti dentro di te – il lavoro, l’amore e l’integrità – ad avere il posto principale», scriverà nella sua autobiografia. I soli lavori con Michael Jackson hanno venduto qualcosa come 130 milioni di copie, portando il suo patrimonio personale, al momento del decesso, intorno ai 500 milioni di dollari.
La «collezione» di Grammy di Quincy (Ap)
La strada, poi la musica
Niente male per un ragazzo partito «dal basso». Nato a Chicago nel 1933, Quincy citava gli inni cantati in casa da sua madre come la prima musica di cui conservasse memoria. Ma l’infanzia era per lui un ricordo doloroso: «Ci sono due tipi di persone: quelle che hanno genitori o custodi premurosi e quelle che non li hanno. Non c’è niente in mezzo», dirà in un’intervista. Sua madre soffriva infatti di instabilità emotiva e alla fine fu ricoverata in un istituto, perdita che fece sembrare il mondo «senza senso» al piccolo Quincy. Trascorse gran parte del suo tempo a Chicago per le strade, con le bande, rubando e facendo a botte. Ed è a questo punto della storia che interviene la musica e, per la prima volta, gli salva la vita.
Sul podio nel 1993 (Afp)
La differenza tra la musica e il music business
Trasferitosi a Seattle con il papà all’età di 10 anni, si avvicina al pianoforte, quindi alla tromba. Nel giro di pochi anni suona ovunque gli capiti e fa amicizia con un giovane musicista cieco di nome Ray Charles che diventerà un amico per tutta la vita. Era abbastanza dotato da vincere una borsa di studio al Berklee College of Music di Boston, ma abbandonò gli studi quando Lionel Hampton lo invitò in tour con la sua band. Jones ha continuato a lavorare come compositore, direttore d’orchestra, arrangiatore e produttore freelance. Da adolescente ha fatto da spalla a Billie Holiday. A venticinque anni era già in tournée con la sua band. «Avevamo la migliore band jazz del pianeta, eppure stavamo letteralmente morendo di fame», dirà in un’intervista. «È stato allora che ho scoperto che c’era la musica e c’era il business della musica. Se volevo sopravvivere, dovevo imparare la differenza tra le due cose».
Quincy Jones con Michael Jackson alla cerimonia dei Grammy del 1984 (AP Photo/Doug Pizac, File)
Michael Jackson e tutti i suoni che si possono immaginare
Parte da qui il cammino che lo vedrà impegnato in Europa come produttore e arrangiatore (in Italia mette le mani nella Lettera a Pinocchio di Tony Renis), dirigente della Mercury Records e autore di molteplici colonne sonore a Hollywood. La storia, in ogni caso, l’ha cambiata tra gli anni Settanta e Ottanta, quando ha trasformato Michael Jackson da star adolescenziale a Re del Pop, producendo la trilogia Off the Wall (1979), Thriller (1982) e Bad (1987), album per i quali potremmo utilizzare innumerevoli aggettivi, ma soprattutto uno: ecumenici. La versatilità e l’immaginazione di Jones si adattarono infatti perfettamente al talento prorompente di Jacko. Strascichi legali a parte, ne uscirono evergreen come Wanna be startin’ somethin’, Billie Jean o Beat It, dove contro ogni discorso pregiudiziale c’era addirittura il metallaro Eddie Van Halen a suonare la chitarra. «Michael aveva il look e la voce, mentre io avevo tutti i suoni che si possono immaginare», spiegherà Quincy. Noi – più o meno appassionati di musica che possiamo essere – sicuramente abbiamo in casa almeno un disco con il nome di Quincy Jones scritto nei credits.
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