La cronaca ci offre esempi di atteggiamenti opposti nelle persone: c’è il caso che ha visto la morte del diciannovenne Santo Romano a Napoli, intervenuto per sedare una lite ed è stato ucciso per questo; e poi c’è chi addirittura perde tempo a fare video anziché salvare qualcuno che magari viene trascinato via dalle acque durante un’alluvione.
Quale meccanismo psicologico porta una persona ad intervenire per fare da paciere o per difendere chi è in difficoltà, oppure farsi gli affari propri per timore o, peggio, indifferenza?
Cos’è l’effetto spettatore
Il mancato intervento in una situazione di emergenza ha delle basi psicologiche e sociologiche ed è un fenomeno chiamato “effetto spettatore”, “apatia dello spettatore”, “effetto testimone” o in inglese “bystander effect”. È un fenomeno psicologico e sociale che avviene nel momento in cui una persona, pur assistendo e vedendo cosa succede, non offre nessun aiuto a una vittima se sono presenti altre persone (Ferrario, 6 ottobre 2022). Secondo alcuni studi il fenomeno è tanto esteso che maggiore è il numero degli spettatori, minore è la probabilità che qualcuno di loro aiuterà la vittima.
Origini del fenomeno
Questo fenomeno è storicamente connesso all’omicidio di Catherine Genovese. Il 13 marzo del 1964 la ventottenne Catherine Genovese ritornava a casa a piedi dopo una giornata di lavoro. Non c’era nulla di insolito in questo, se non che quella fu la sua ultima passeggiata, fu infatti pugnalata e assassinata da un aggressore sconosciuto dopo essere stata violentata. Sebbene questi crimini non siano nuovi a New York, questo delitto scioccò ed ebbe ripercussioni sul mondo intero.
Cos’è la sindrome Genovese
All’orrendo crimine che durò circa mezz’ora, assistettero 38 persone e per tutto il tempo nessuna di loro chiamò la polizia. Il caso di “Kitty” Genovese (come fu chiamata dai mass media) catalizzò le ricerche sullo studio del comportamento dei passanti e sulla loro inerzia nell’agire. Tale fenomeno è ormai noto come “Sindrome Genovese”, di cui gli psicologi ancora discutono le cause. Il Professor Stanley Milgram, docente di psicologia a New York commentò: “Il caso toccò un aspetto fondamentale della condizione umana… Se ci capitasse di aver bisogno di aiuto, chi ci sta vicino lascerà che ci facciano del male o ci presterà soccorso?” (Rolls, 2011).
In seguito a questo omicidio molti psicologi decisero di approfondire quanto era successo per capire se ci fosse uno schema di comportamento che si ripete o se il mancato aiuto fosse un caso isolato.
Aiutare e farsi i fatti propri?
Milgram e Hollander (1964) affermarono che la persona che assiste a una situazione di emergenza, come un’aggressione, vive un conflitto interiore: da un parte vi sono le norme morali che impongono di aiutare il prossimo, dall’altra parte sussistono paure più o meno razionali relative a cosa potrebbe succedere.
Nel 1968 John Darley e Bibb Latané testarono in laboratorio questo effetto, tramite la riproduzione di una situazione in cui una donna era in pericolo e furono proprio loro a chiamarlo “effetto spettatore” (Ferrario, 6 ottobre 2022). In sostanza, se ad uno stesso evento assistono più persone, ciascuna può tendere a lasciare la responsabilità dell’intervento agli altri.
Responsabilità di pochi o di molti
D’altra parte, in una situazione di emergenza, è possibile che siano presenti solo poche persone che si trovano ad essere le uniche testimoni e le sole che possono fornire aiuto. Naturalmente possono decidere se intervenire o meno, ma la pressione del soccorso si concentra su di loro. Se tale pressione è invece ripartita tra più persone, è facile che nessuno si attivi.
Per questo motivo si è portati a pensare che se la responsabilità è collettiva, anche la colpa derivante da una scelta sia lieve o inesistente, come a dire: “chiunque altro poteva intervenire, perciò non ho colpa per non averlo fatto”. Il risultato è che più persone sono presenti, più è probabile che nessuno si muova o che l’aiuto arrivi più lentamente.
Perché non si reagisce al bullismo
L’effetto spettatore è presente in più ambiti della vita quotidiana. Il bullismo, ad esempio, è una realtà diffusa nelle scuole. Perché nessuno aiuta la vittima? Questo fenomeno spiega, almeno in parte, il silenzio di chi si limita a osservare la violenza (Perez, 21 dicembre 2022).
Altruisti o egoisti
Alcuni ricercatori hanno contestato la spiegazione dell’effetto spettatore, mettendo in campo il problema dei valori. Deschamps e Finkelstein (2012) hanno dimostrato che coloro che hanno sentimenti valoriali altruistici sanno attuare comportamenti prosociali senza pensarci due volte. I comportamenti prosociali, frutto di sentimenti, analisi e decisioni, vengono però ostacolati da sentimenti di insicurezza che in primo luogo veicolano preoccupazione e difesa per se stessi. I vicini che assistevano allo stupro e all’assassinio di Kitty non mossero un dito perché preoccupati della loro incolumità. In pratica ragionavano mettendo al primo posto se stessi.
Le dinamiche psicologiche si intrecciano ai sentimenti e ai valori che scegliamo nel vivere la nostra vita. Abbracciare i valori di una formazione altruistica e generosa, non è solo una questione psicologica, ma anche culturale ed etica (Stanchieri, 21 agosto 2018).
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