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Cinema

un musical spettacolare, un elogio della diversità

today24 Novembre 2024 4

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Se vi è mai capitato di passeggiare nel centro di Manhattan, sicuramente avrete visto un poster verde e nero con la silhouette di una strega e la scritta “Wicked”. Wicked è uno dei musical più famosi di sempre. Messa in scena per la prima volta nel 2003, l’opera di Stephen Schwartz e Winnie Holzman rappresenta sia un prequel che un sequel di un’altra pietra miliare della letteratura e della cinematografia americane: Il Meraviglioso Mago di Oz, di L. Frank Baum. Negli Stati Uniti, il libro di Baum, il suo adattamento su pellicola e persino Wicked (sia il libro del 1995 che il musical) sono entrati a far parte della cultura nazionale, un po’ come i Promessi Sposi per noi italiani.

Ed è forse per questo che l’adattamento cinematografico di Wicked era atteso con ansia, almeno in patria. Come spesso accade per i blockbuster di questo tipo, Wicked è stato un film rischioso da realizzare: vuoi perché il pubblico – specie quello americano – è sempre più polarizzato, vuoi perché il musical non è più il genere preferito da chi si reca al cinema, vuoi perché Universal ci ha scommesso tanto fin dall’inizio, realizzando le due parti back-to-back, una dietro l’altra. Insomma, l’operazione è stata enorme. Ma il risultato finale ha pagato. Eccome se ha pagato.

Elphaba e Glinda, prima del Mago di Oz

Per sommi capi, Wicked racconta le origini della Malvagia Strega dell’Ovest, Elphaba, e nel farlo introduce diversi altri personaggi che poi avranno un ruolo centrale nella storia del Meraviglioso Mago di Oz, a partire dalla Strega Buona del Sud G(a)linda.

Si tratta di una origin story che tutto sommato sa di già visto. Scopo del film (così come del musical e del libro originali) è quello di tracciare una biografia della “cattiva” per eccellenza delle avventure di Dorothy, trasformandola in un’anti-eroina o, addirittura, in un’eroina a tutto tondo, per quanto drammatica e incompresa. Sia ben chiaro, però, che non ci troviamo di fronte a una semplice rivalutazione fine a sé stessa del villain: in tal senso, Wicked si colloca ben lontano dalle produzioni che le dovrebbero essere almeno apparentemente simili, come Maleficent. Al contrario, ogni personaggio ha una caratterizzazione sfaccettata, al punto che è difficile per lo spettatore schierarsi dalla parte di uno o dell’altro o anche solo indicare un vero e proprio villain – Elphaba sicuramente non lo è, e sotto sotto nemmeno Glinda, Madame Morrible e il principe Fiyero sono poi così irragionevoli. La magnifica tridimensionalità dei personaggi (di quelli principali, quantomeno) è sostenuta dalle magistrali interpretazioni di Cynthia Erivo e Ariana Grande, nonché da un cast di supporto che comprende celebrità del calibro di Michelle Yeoh, Jeff Goldblum, Peter Dinklage e Jonathan Bailey. Alcuni dei personaggi secondari restano sfortunatamente relegati a ruoli fin troppo marginali, ma siamo certi che ci sarà più spazio per approfondirli nel seguito: Wicked 2 arriverà a novembre 2025, questo già lo si sa da tempo.

Il grosso della origin story della protagonista si svolge nel campus dell’Accademia di Shiz, un’università dove, tra le altre cose, si insegna anche la magia. Elphaba viene ammessa a Shiz quasi per caso: qui, deve scontrarsi con la discriminazione e lo scherno dei suoi compagni, che la considerano diversa a causa della sua pelle verde. Il blocco centrale del film, tra una canzone e l’altra, è dunque un lungo e dettagliato racconto di come Elphaba riesca a vincere il pregiudizio altrui, a stringere amicizia con Glinda e a innamorarsi per la prima volta, nonché di come la sua bontà d’animo condizioni – nel bene o nel male – tutti coloro che la circondano, a partire dalla sorella Nessarose.

La pellicola non va certo per il sottile quando si tratta di esternare la morale di fondo: Wicked è un elogio della diversità, dell’amicizia e di quei valori comuni – altruismo, gentilezza, generosità – sulla base di cui si può creare un mondo veramente coeso, andando oltre le divisioni politiche, ideologiche e razziali. Si tratta di un messaggio potente, indirizzato al pubblico americano più che a quello del resto del mondo: in un momento storico in cui la capacità di Hollywood di trasmettere delle idee digeribile anche per le persone comuni è in crisi, Wicked rappresenta una sorta di rilancio delle tendenze moralizzanti dell’industria cinematografica americana, giocando saggiamente sull’idea delle differenze fisiche (quelle tra Elphaba e Glinda, nel colore della pelle e nel modo di vestire) per intavolare un discorso che va molto più in profondità, senza mai risultare stucchevole.

Un film che non ha paura di cantare

Ora, Wicked è un musical: l’intera macchina promozionale del film si è basata sui suoi motivetti estremamente orecchiabili e nessuno ha mai nascosto che le canzoni sarebbero state tante.

Se siano addirittura troppe, invece, è una questione di gusti personali: le parti cantate accompagnano lo spettatore dall’inizio alla fine del film, integrandosi alla perfezione con le sezioni recitate – merito questo di un libretto di partenza semplicemente superlativo, adattato in maniera quasi filologica da Jon M. Chu per il grande schermo, senza tagliare davvero nulla rispetto all’originale. Al di là del loro numero, i brani di Wicked sono collocati in modo sapiente nei 160 minuti di durata del film e riescono persino ad alleggerire e accelerare i momenti dove la narrazione tende a sgonfiarsi: la lunga parte centrale, per esempio, non pesa troppo sullo spettatore proprio per via della continua alternanza tra scene in musica e parti recitate, che favorisce un dinamismo di situazioni ed eventi che molti altri blockbuster semplicemente si sognano. Dunque, la natura musicale di Wicked si manifesta con forza tramite dei brani pop che, pur senza farsi ricordare troppo a lungo, contribuiscono alla spettacolarità complessiva dell’opera e al suo ritmo sostenuto: una differenza sostanziale rispetto all’altro “musical” di questa stagione, Joker 2, che invece fa un uso molto più morigerato delle canzoni, quasi a voler far dimenticare il suo carattere musicale agli spettatori.

Il tutto è sostenuto da una messinscena estremamente barocca e spettacolosa, così esagerata da sembrare quasi decadente: l’Accademia di Shiz è la cugina patinata di Hogwarts, un tripudio di guglie, pinnacoli e luccichii che lascia sbalorditi quando la si vede per la prima volta. Anche la Città di Smeraldo del Mago di Oz è impressionante dal punto di vista scenografico, e così anche il palazzo dell’onnipotente stregone, con tutti i suoi giocattoli tecnologici. Dove non arrivano gli effetti speciali, ci pensano un trucco e dei costumi da Oscar: il lavoro svolto su Cynthia Erivo e su Ariana Grande è stato maniacale, ma anche i costumi indossati da Michelle Yeoh per la sua Madame Morrible e da Jeff Goldblum (che impersona Oz) colpiscono per la loro qualità e per come si adattino perfettamente allo strambo mondo in cui gli attori vengono calati.

Le coreografie dei momenti musicali sono coraggiose e vengono supportate da una cinepresa che non si fa problemi a “sparire”, limitandosi a seguire passo dopo passo i corpi dei ballerini e degli attori. Semmai, alla regia e alla fotografia si potrebbe imputare una certa mancanza di inventiva, sacrificata all’altare di uno stile ormai rodato e sfortunatamente privo di guizzi estetici, che è sempre più la cifra estetica delle produzioni ad alto budget di Hollywood. Ma ciò non riduce la portata quasi rivoluzionaria di Wicked, che, come la sua Elphaba, riesce a spiccare il volo e a rivelarsi una delle più piacevoli sorprese dell’anno.



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Scritto da: redazione

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