Un punto di riferimento per molte attrici, un faro per altre, che, nel mettere in scena la propria arte, ha saputo sempre ricreare qualcosa di nuovo, dando corpo, voce, a una serie di storie, personaggi, donne, mogli, madri, chiamate a fare la differenza. Laura Morante, in fondo a ogni possibile considerazione, è difficile da sintetizzare.
Per lei parlano i progetti, i film, il suo essere trasversale, anche pioniera, perché no, di un certo modo di sperimentare, di non omologarsi al sistema, nel rinnovarsi, rispettando oltremodo quello che è uno dei suoi punti di forza, l’identità.
La incontriamo all’edizione di Cortinametraggio, nella quale è presente tra i giurati, l’occasione suggestiva per parlare riguardo al suo lavoro, anche di regista (due film finora realizzati, Ciliegine, e il bellissimo Assolo, in cui è una donna che si sente sola e poco realizzata), e di cosa effettivamente la sua carriera, in oltre 40 anni, le ha dato, e tolto. Musa di Nanni Moretti, da Bianca a La stanza del figlio, è riuscita a lavorare con tutti i più grandi: dal palcoscenico, con Carmelo Bene, al grande schermo, diretta da Bertolucci, Monicelli, Amelio, Salvatores, Virzì, Cristina Comencini, Muccino, Archibugi, alternando televisione. E soprattutto tantissimo teatro. Una radicata e profonda passione, che recentemente l’ha sta vedendo protagonista interpretando Medea, e per cui non smette di scrivere.
Torniamo per un attimo ad Assolo. Ricevette molte lettere di stima da parte di nomi come Dacia Maraini, ma anche da giovanissime. Si identificarono in molte.
“Il film è una commedia amara, dolorosa, quindi forse è soprattutto questo che ha colpito in particolare le donne, perché era scritto e recitato con una leggerezza che rendeva forse tutto più accettabile”
La commedia probabilmente è più onesta e vera.
“Lo penso anch’io. Per me l’umorismo è un ingrediente irrinunciabile, non riuscirei a scrivere interamente in modo drammatico, non è il mio modo di guardare il mondo, e quindi ho bisogno di questo, ma nello stesso tempo ho bisogno di parlare di cose che mi appassionano. Alla commedia leggera, preferisco la commedia amara, lo dico anche da spettatrice. La commedia consente di affrontare dei temi anche profondi, gravi, con una sorta di pudore, è solo una forma anche di rispetto. Al riguardo ho sempre avuto dei sentimenti ambivalenti rispetto al dramma”.
Come mai?
“Perché c’è una sorta di impudicizia nel raccontarlo. Si sa che non è vero: gli attori fingono, il pubblico cade nell’inganno. Si gioca intorno a qualcosa, lo si rende visibile, nello stesso tempo c’è quel piccolo distacco che ti permette di dire “so che questa non è la vita”, “non sono veramente così disperata. Lo sto solo portando in scena, ed è una forma di espressione più onesta e sincera”.
Quanto tornerà a dirigere?
“La terza sceneggiatura è pronta da tempo, è lì, ferma. Il fatto è non si sono mai trovati i finanziamenti, forse non sono abbastanza battagliera. La realtà è che lotto bene per altro, meno per me. Nella scrittura lotto invece contro me stessa. Ho cominciato da poche settimane a lavorare su un nuovo libro (il primo era stato stato Brividi Immorali, edito sempre da La Nave di Teseo, ndr), spero di dedicarmici esclusivamente, c’è bisogno di molta calma e concentrazione. Mi auguro che però il terzo film riesca a concretizzarsi, ma non è detto, non è così facile trovare finanziamenti in Italia, figuriamoci nella situazione che stiamo vivente. Avrà ancora un’impronta ancora al femminile, questa volta sono due donne protagoniste, ma qui non reciterei se si facesse, rimarrei dietro la macchina nel caso”.
Quanto le piace esplorare universo femminile?
“Sono una donna, mi viene naturale, è quello che conosco meglio e dall’interno. Ci sarà sempre tanto da raccontare, non è un argomento che può esaurirsi. Da poco ho scritto ad esempio sei monologhi ispirandomi alla tragedia greca, e legati alla Guerra di Troia, parliamo di Elena, Clitennestra, Elettra, Cassandra, Ecuba e Andromaca. Sei personaggi femminili molto diversi fra di loro, e che si esprimono in forma di lettura”.
Dì sé ha detto: “sono una ex timida, ma tendenzialmente anarchica”.
“Non mi riesce di rimanere dentro a dei binari, sono cresciuta lentamente, tappa dopo tappa, progetto dopo progetto. Quello che trovo abbastanza divertente del mio percorso è che ho fatto cose diverse: ho iniziato come ballerina, facendo poi teatro, cinema, dedicandomi alla scrittura e regia. L’anno scorso ho portato in scena un mio scritto dal titolo, “Io Sara, io Tosca”, sul personaggio di Sara Bernhardt che si confronta con la Tosca di Sardou , era molto interessante”.
Ha dovuto fare delle rinunce?
“Qualche anno fa con mio marito (Francesco Giammatteo, ndr), eravamo negli Stati Uniti a Chicago, vediamo questo campus, pieno di studenti, e io ho detto, “ecco io non l’ho potuto fare, essere in università, studente”. C’ho provato, prima con lingue, poi con psicologia mi pare, ma non ci sono mai andata”.
Perché?
“Avevo terrore dei miei coetanei, non sono mai stata molto socievole. Mentre con le persone più adulte riuscivo a stabilire un legame, i giovani mi mettevano l’ansia, mi sembrava di non avere mai niente da dire, così ho rinunciato. Lo dico sempre alle mie figlie: “le sconfitte non sono mai drammatiche, sono addirittura buffe, divertenti, invece le rinunce pesano, anche dopo. Ma ce ne sono altre, come non aver studiato il greco, non ho potuto fare il liceo classico, d’altronde non mi sono presentata all’esame di latino, presa dalla paura. E poi con Carolin Carlson, io ballavo ancora. Lei creò una compagnia italiana, fece dei provini, mi sarebbe piaciuto tentare, anche lì rinunciai, non ebbi il coraggio, ebbi paura della sconfitta. Quando dopo andai a vedere lo spettacolo c’era una ragazza alla quale io facevo le dimostrazioni, una principiante”.
Di che cosa si sente alla fine più orgogliosa?
“Con le mie figlie, Eugenia e Agnese, entrambe diventate attrici, spesso prendiamo sempre in giro i film americani dove ad un certo punto compare un padre che dice “I am proud of you, sono orgoglioso di te” e ci sbellichiamo dalle risate. Di essere orgoglioso di una figlia non mi verrebbe mai in mente, è una persona, ma certo sono felice quanto entrambe si sentono soddisfatte, quando le vedo star bene. Mi sembra un “sottosentimento”, preferisco essere contenta di un loro amore. Sono terrorizzata da questa cosa, che è molto italiana, ovvero della difesa a spada tratta del proprio gruppo, della propria famiglia, è una cosa che mi fa orrore”.
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