Sono 21 i nuovi prodotti tipici di Sardegna riconosciuti recentemente dal Ministero dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste (MASAF). L’elenco, pubblicato nel sito del Ministero, vede tante novità tra i prodotti agroalimentari che hanno ottenuto l’ambito riconoscimento. In Italia sono poco meno di 6000 i prodotti agroalimentari tradizionali, un unicum in tutta Europa e un primato importante per il comparto dell’artigianato agroalimentare. La Sardegna nel 2023 è passata da 222 a 243 prodotti tutelati dal MASAF e dalla Regione Autonoma della Sardegna: comprendono pani, paste, formaggi, insaccati, liquori e distillati, pesci e molluschi, mieli, mandorle, varietà locali di frutta, verdura e legumi.
Una grande riscoperta
Di grande interesse ed impatto sono i prodotti della gastronomia, preparazioni culinarie tradizionali che finalmente vengono riconosciute e valorizzate. Sino allo scorso anno l’unica preparazione gastronomica era la nota Simbua frita cun satitzu, la “polenta” sarda fatta con semola, con l’aggiunta di salsiccia e pecorino. Da quest’anno a questa prezioso prodotto si sono aggiunte pietanze del Sulcis, della Barbagia, della Marmilla e di Cagliari. Vediamo quali sono.
L’Agnello di pecora nera di Arbus con cardi selvatici – Angioi de brabei niedda de Arbus cun gureu de satu; la pecora nera costituisce una biodiversità molto interessante e unica in Italia in quest’area del Sulcis. Nella zona di Arbus viene preparata in tegame con i cardi selvatici.
La Broccolata – Sos Broculus. I broccoli invernali in zuppe e minestre sono un classico della cucina contadina, nella ricetta barbaricina vengono arricchiti con carne di maiale e patate; un piatto unico, che dava conforto serale ai pastori dopo una lunga giornata di lavoro.
Il Cuscus di Carloforte – Cascà di Carloforte. Il couscous tabarchino non ha bisogno di presentazioni. Portato dai genovesi dalla Tunisia a Carloforte, nella loro diaspora mediterranea ormai tre secoli fa. Viene preparato nelle case e nei ristoranti della cittadina nell’Isola di San Pietro. Oltre al cascà, come viene chiamato dai carlofortini, si utilizzano verdure fresche che cambiano secondo la stagione. Se ne fa anche una popolare sagra in primavera, con degustazioni naturalmente e spettacoli.
Mazzamurru, fatto con materiali alimentari di recupero e molto gustoso (da Pinterest)
Sempre di Carloforte è stata riconosciuta la famosa Capunadda, che si prepara similmente in altre aree del Mediterraneo, dal Genovesato alla Sicilia. Piatto dei pescatori è composto da una insalata di tonno fresco, di cui si utilizzano le parti meno nobili, due ortive, facusse e pomodori, sopra un letto di gallette, pane biscottato tipico che viene ancora oggi prodotto sull’isoletta. La facussa è una qualità di melone che assomiglia nel gusto al cetriolo. I tabarchini lo conobbero nel Cinquecento in Tunisia e tanto gli piacque che lo portarono a Carloforte nel Settecento quando si trasferirono sulla piccola isola di San Pietro, dove ancora oggi prospera negli orti famigliari.
Il giro dell’isola fra i sapori più antichi
Le Fave alla Sanlurese – Fa a sa seddoresa sono una pietanza calorica e tradizionalissima. Un tempo piatto unico, oggi costituiscono una pietanza identitaria della tradizione contadina. Gli abitanti di Sanluri vengono definiti dal circondario “pappa faa” cioè mangiatori di fave, per la loro predilezione antica verso questo legume.
S’erbuzu è una pietanza barbaricina, una minestra di erbe spontanee solo in apparenza povera ricca com’è di erbe nutraceutiche e funzionali, che venivano raccolte per integrare il vitto e oggi costituiscono un elisir di longevità. Le erbe, colte in primavera, lavate e tagliate, vengono poi messe a cuocere con un po’ di lardo o salsiccia, formaggio, arricchite con pasta o fagioli e patate, secondo le mille varianti della ricetta. Tra le erbe protagoniste il lapazio, il ramolaccio, la borragine, il crescione, la pimpinella, la cicoria, il tarassaco, il finocchietto selvatico, la malva, e tante altre.
Anche S’arre Modde o minestra di semolino, arricchita da carne di maiale e formaggio, è una squisita e sostanziosa pietanza della Sardegna centrale, riproposta giustamente dalla ristorazione locale come piatto identitario. Arre deriva da farre, la farina d’orzo un tempo comune nelle case barbaricine. Ne parla Grazia Deledda nelle Tradizioni popolari di Nuoro (1894), a proposito di «Due curiose pietanze […] sa simuledda, che è il fior della farina cucinato con acqua e formaggio fresco e su farre. Il “farre” è il fiore della farina d’orzo. Si fa come la simuledda, ma è semplicemente condito con sale e con lardo». Super tradizionale dunque. Secondo alcuni il segreto del suo gsuto sarebbe la spolverata finale di menta essiccata sul piatto caldo.
Patata frattà e Pane imbrattau sono due piatti della tradizione della Sardegna centrale, che utilizzano due semplici ingredienti, le patate e il pane, per comporre ricette gustose, un tempo piatti unici, oggi sfiziosi antipasti.
Il Pane frattau è forse una delle dieci pietanze più note della Sardegna. Sopra un letto di pane carasau si colloca una generosa passata di sugo di pomodoro, pecorino grattugiato e l’uovo in camicia o fritto secondo il gusto. Immancabile nella ristorazione locale e apprezzatissimo dai turisti enogastronomici è uno dei piatti più tipici e identitari della cucina rustica sarda e oggi viene riconosciuto.
La “patente” alla zuppa antica cagliaritana
Infine ha avuto il suo riconoscimento anche la Zuppa di pane al pomodoro, su Mazzamurru di Cagliari e del cagliaritano.
Oggi questa antica zuppa di pane al pomodoro appare moderna, improntata com’è al recupero degli avanzi di un alimento un tempo considerato sacro per i sardi: il pane. Un esempio di cucina sostenibile che viene dal lontano passato: il termine maçamorro infatti è catalano, nel Cinquecento indicava una zuppa marinara con gallette e vari ingredienti. I cagliaritani hanno adottato il piatto e l’hanno reso un piccolo capolavoro di gusto con tre soli ingredienti. Su mazzamurru è fatto infatti con pane vecchio, sugo di pomodoro e pecorino, disposti a strati; questa pietanza è stata il cavallo di battaglia delle nonne, un modo con cui sfamare le famiglie numerose utilizzando ciò che c’era in casa, un feticcio di nostalgia alimentare che potrebbe tornare in auge, come gli altri piatti, dopo l’ambito riconoscimento.
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