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Oppenheimer: carnefice o martire? – Tiscali Spettacoli

today24 Luglio 2023 13

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Partiamo da una premessa, opinabile e criticabile, come tutte le cose: Christopher Nolan è uno dei pochi, veri, grandi visionari e versatili del cinema contemporaneo, che, a parte qualche “scivolone” (vedi Tenet) perdonabile, è stato capace di coniare un modo nuovo di narrazione. In corsa contro il tempo e la memoria (Memento), al di là, e dentro i sogni, da riempire e proteggere come caveau (Inception), Nolan ha narrato il rapporto ultra terreno e umano (Interstellar), inventando una trilogia, quella de Il Cavaliere Oscuro, che è finora la migliore mai realizzata su Gotham City, Batman e Joker (il compianto Heath Ledger), riconnettendosi una prima volta con la storia (Dunkirk), guardando la Seconda Guerra Mondiale (e l’evacuazione di Dunkerque) da prospettive e uomini diversi. Nel 2018, al Festival di Cannes, per i 50 anni di 2001: Odissea nello Spazio, fu proprio lui a presentare il film insieme al protagonista originario, Keir Dullea, a simboleggiare come una certa eredità ‘kubrikiana’, sia, come dire, entrata nel suo DNA.

Nolan insegna e fa scuola, indirettamente anche tra i detrattori, gli scettici, gli stessi che pensano sia sopravvalutato.

Adesso l’interesse, la sfida, è ancora per un momento di svolta nella storia mondiale (e americana): raccontare la figura di J. Robert Oppenheimer, il fisico chiamato alla direzione del famoso “Progetto Manhattan”, quello che contribuì a dare forma (e connotazione concreta di morte) alla bomba atomica, e al successivo processo ai suoi danni. “Oppenheimer”, in sala dal 23 agosto e distribuito da Universal Pictures, trae innanzitutto ispirazione dal libro “American Prometheus: il trionfo e la tragedia di J. Robert Oppenheimer” scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin, un titolo in cui vi è una sintesi di che cosa Nolan prova a mettere in scena: l’uomo da un lato e la sua ambizione, lo scontro con un aspetto morale, poco dopo lo sgancio delle bombe su Nagasaki e Hiroshima, che lo mise al centro di una inchiesta. Accusato di essere addirittura una spia russa, Oppenheimer fu vittima del sistema che lui stesso aveva creato, e in cui ha creduto per due anni, creando una città sperduta nel deserto, riunendo insieme le menti più brillanti, l’intera potenza industriale e di innovazione scientifica (2 miliardi di dollari investiti), connessi in un laboratorio segreto. Uomini e donne, se ne contarono 130mila alla fine, insieme (alcuni) alle rispettive famiglie, si trovarono in mezzo al nulla per la “cosa più importante nella storia del mondo”, senza sapere davvero cosa avrebbe portato il loro sforzo.

Un moderno prometeo americano, un guru del nucleare (finito sulla copertina del Time, ricevuto dall’allora presidente americano Truman) che, come nella mitologia, diede a sua volta il fuoco e il potere (di distruggere) con la propria invenzione, a un mondo però non ancora pronto.

Nolan costruisce allora letteralmente un film roboante, intriso di dialoghi, in cui il tempo (e il conto alla rovescia) scandiscono oltremodo le lancette di una missione orribile, ma inevitabile. Nella devastazione delle esplosioni, si scorge la poetica di Malick (The Tree of Life) attraverso immagini moodboard, emozionali, liriche, incredibilmente belle da vedere. Il “paradosso funziona”, si sente dire ad un certo modo, ed è un paradosso che riguarderà poi il singolo, l’Uomo Oppenheimer, che confrontandosi con Albert Einstein, guarda attonito verso il vuoto, travolto dal senso di colpa e da un dilemma esistenziale, diviso tra l’essere stato l’artefice-carnefice di tutto, o un martire manipolato. 

Cast in stato di grazia

A impersonare Oppenheimer c’è un Cillian Murphy (lo stesso della serie Peaky Blinder e già in Inception) da applausi. Un attore in grado di recitare anche nei silenzi, negli occhi spaesati, quanto nella volontà di creare qualcosa di epocale. Un po’ come l’Alan Turin di Imitation Game, che sconfisse il nazismo attraverso il codice Enigma, ma che fu risucchiato da accuse ingiuste, processi, messo quasi al bando, e poi ricelebrato anni dopo. Intorno a lui, vediamo un pantheon di personaggi e performance che già profumano di Oscar: da Robert Downey Jr, splendido nei panni di Lewis Strauss, ex Segretario al Commercio degli Stati Uniti d’America, a Emily Blunt, a impersonare la moglie di Oppenheimer, Kitty, fino a Matt Damon, che dà il volto al generale Leslie Gross, responsabile del Progetto Manhattan.

Su tutti aleggia la musica di Ludwig Göransson, Oscar per la colonna sonora del primo Black Panther, che qui fa un lavoro devastante, e per cui vale la pena correre in sala, godendosi lo spettacolo (girato in pellicola) sul grande schermo.

Perché Oppenheimer è un’esperienza accecante, articolata, ma felice, in cui provare a trovare nuovi spunti e risposte.

 

 





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Scritto da: redazione

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