La Locanda Cipriani, sita sull’isolotto di Torcello a Venezia, è diventata un mito letterario per aver ospitato Ernest Hemingway nell’autunno del 1948. Giunto a Venezia con la moglie Mary, Hemingway conobbe questo tranquillo scorcio di paradiso e ne rimase conquistato. L’insolito fascino dell’isola lo convinse a trascorrere l’intero mese di novembre nella Locanda Cipriani, dedicandosi alla stesura del suo romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi. Pare che a fargli ‘compagnia’ ci fossero anche diverse casse di Valpolicella. A dimostrazione del fatto che il rosso veronese è da sempre sulle tavole e sui banchi del Veneto e può contare su una tradizione risalente e consolidata. Che negli ultimi anni probabilmente si è ritrovata in una sorta di cono d’ombra.
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Ripensare un grande rosso storico
Nota soprattutto per il prestigio dell’Amarone e il successo commerciale del Ripasso, la Valpolicella comincia così a ripensare la tipologia storica Valpolicella superiore (è presente nel disciplinare fin dal 1968, anno della fondazione) e a progettarne il futuro che potrebbe trovare un suo specifico percorso, diverso da quello dei ‘fratelli maggiori’. Amarone e Ripasso sono i vini più ‘tecnici’. Il primo è il frutto di un appassimento delle uve tipiche autoctone e può vantare anche la versione Riserva. Di recente, il Consorzio ha deciso di puntare sul riconoscimento della tecnica di appassimento dell’Amarone come bene Unesco. Il secondo è il frutto di un passaggio ulteriore sulle vinacce dell’Amarone (un ‘ripasso’, appunto) per aumentarne l’intensità e la complessità aromatica. Il Ripasso è un campione di vendite, rappresentando quasi il 50% del mercato totale dei vini della denominazione.
Ritorno alla semplicità
Da qualche tempo, però, il gusto dei consumatori si è evoluto, privilegiando vini più freschi e bevibili che permettono un approccio più conviviale e immediato, senza l’impegno che può richiedere un calice di Amarone. A questo si può aggiungere il cambio delle abitudini alimentari che privilegiano sempre più pasti leggeri e alimenti freschi, senza lunghe cotture, per i quali i vini elaborati e con lunghi affinamenti diventano troppo invasivi. Pure il cambiamento climatico, infine, ci mette lo zampino. Se la stagione calda si allunga, le prassi dei consumatori si modificano alla ricerca di vini più agili e acidi. Ma c’è anche una novità che riguarda la lavorazione del vino. L’appassimento nasce infatti come necessità di arricchire delle uve gentili come la Corvina che, per il freddo eccessivo, facevano fatica a maturare. Così, il cambiamento climatico con l’aumento delle temperature stagionali renderà nel tempo sempre meno necessario il ricorso all’appassimento e permetterà di privilegiare l’uso di uve fresche.
A quale storia e “approccio” restare legati
È proprio per questi motivi che il Consorzio della Valpolicella, con l’aiuto dell’Università di Verona sul piano scientifico, sta cercando di ripensare il senso della tipologia ‘superiore’. Sulla quale, a dire il vero, esiste ancora un po’ di confusione tra le diverse cantine. Alcuni produttori hanno già scelto da tempo una lavorazione meno carica e complessa, con l’obiettivo della freschezza e della bevibilità. Altri invece restano ancora legati alle tecniche tradizionali che hanno fatto la fortuna della denominazione, insistendo con la sosta nelle botti di legno e con l’uso di uve appassite. Così però c’è il rischio di creare confusione. Grazie a una storia unica e all’abilità tecnica dei viticultori, la Valpolicella ha la fortuna di poter offrire un’ampia scelta di vini in progressione: Valpolicella, Valpolicella Superiore, Ripasso, Amarone, Amarone Riserva e, infine, Recioto. È molto importante però che le differenze tra questi diversi ‘scalini’ siano marcate, altrimenti c’è il rischio di sovrapporre le tipologie di confine. Chi rischia di rimetterci più è proprio la tipologia del Valpolicella Superiore.
Ottenere “il massimo dal minimo”
Ancora una volta il richiamo a Hemingway potrebbe essere più che simbolico. Lo scrittore americano iniziò la sua carriera letteraria come autore di racconti e giornalista: l’impronta del linguaggio conciso gli regalò la capacità di “ottenere il massimo dal minimo”. Uno stile narrativo – alcuni lo chiamano teoria Iceberg – che consentiva ad Hemingway di descrivere eventi quotidiani senza connotarli di significati secondari: eppure tali fatti ‘nudi e crudi’ spesso sono la rappresentazione simbolica di ciò che accade nell’animo dei personaggi del romanzo. È una tecnica basata sulla sottrazione e sull’essenzialità più che sull’abbondanza e sulla ridondanza di altri autori. È lo stesso stile, in fondo, che oggi ci aspetteremmo dal Valpolicella Superiore e che, con una strategia intelligente di lungo periodo, il Consorzio della Valpolicella sta cercando di spingere anche con eventi mirati come Venezia Superiore, svoltosi appunto a Venezia il 5 e 6 luglio scorsi con grande successo. L’obiettivo – condivisibile – è chiaro: la ricerca della finezza, della freschezza e della bevibilità per una tipologia – il Valpolicella Superiore – che servita a una temperatura più fredda può diventare perfino un’ottima compagna di aperitivi e cene di pesce, anche in virtù della gentilezza e del modesto impatto tannico delle uve veronesi, in primo luogo la Corvina. “Ottenere il massimo dal minimo”, appunto.
Una bella scoperta questo campione che bene interpreta la new wave del Valpolicella superiore nella direzione della modernità e del dialogo virtuoso con i gusti del tempo. Il profumo è fine ed esprime frutti rossi ed erbe. Il sorso è leggero, fresco, vivace. È la direzione giusta per la tipologia.
Ognisanti di Novare Valpolicella Doc Classico Superiore 2020 – Bertani
L’azienda Bertani è una delle più celebri aziende della denominazione e rappresenta in modo eccelso il territorio della Valpantena, un’areale sempre più rilevante. Questo vino è un modello di eleganza: fine, leggero, fresco, sa tanto di amarena. Un punto di riferimento senza ‘se’ e senza ‘ma’.
Tirele Valpolicella Doc Classico Superiore 2021 – Tenuta Villa Bellini
Al sorso si presenta certamente più nervoso rispetto agli altri e offre più struttura e corpo. In controtendenza rispetto ad alcuni eccessi della denominazione registra un solo un grammo di residuo zuccherino. Il ‘morso’ tannico può sembrare fuori dalle righe, ma dona grinta e sostanza utile per una versatilità di abbinamenti.
In questo vino c’è ancora un accenno di appassimento, ma nulla di eccessivo. Al palato resta comunque fresco e la tecnica di cantina, attenta e rispettosa del prodotto, serve soltanto per donare una maggiore morbidezza ed eleganza. Il sorso resta fluido e vivace e va via con ottima agilità
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