Iniziato lo sversamento in mare delle acque della centrale danneggiata di Fukushima, si moltiplicano sospetti e timori. Giustificati? Vediamo
Lo sversamento controllato delle acque di raffreddamento della centrale di Fukushima, gravemente danneggiata dallo tsunami del marzo 2011, riempie le cronache di proteste e paura nucleare. Siamo davvero sicuri che tutto sia a posto? E quanto influisce su quel che mangiamo? Il dibatitto si apre in particolare a proposito del pesce e va a coinvolgere la preparazione del sushi.
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Da anni ormai questa specialità della cucina orientale va fortissimo in tutte le sue varianti. Ed ecco la domanda: quanto pesce proveniente dal Giappone c’è nel sushi che mangiamo nei tanti all you can eatnel nostro Paese, e come si fa ad essere certi che sia privo di contaminazione radioattiva?
Quanto è reale il pericolo
Stando ai dati elaborati da Istat e Coldiretti, il pesce giapponese che l’Italia importa nello scorso anno è stato pari a 123 tonnellate. Una quantità modesta se paragonata al grosso del prodotto di importazione, che viene dal Nord Africa, dalla Grecia, molti crostacei dagli Usa e dall’Australia, il merluzzo dall’Atlantico e dal Mare del Nord, altro pesce ancora dagli allevamenti turchi. Il grosso del pesce giapponese finisce nei mercati cinesi. C’è a parte il capitolo del tonno, in cui il Giappone eccelle, ma nel corso degli anni si è definitva la pratica della sua pesca nelle acque del Mediterraneo, o dell’allevamento in impianti in alto mare per poi rivendere il nostro pescato altrove, Giappone compreso. Perciò il rischio di mangiare pesce radioattivo o sushi contaminato dal trizio davvero basso. Non c’è da preoccuparsi. Occhio piuttosto ai rischi batterici di fronte al pesce mal “abbattuto”.
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