Il fatto è che Linda non sapeva praticamente nulla quando abbiamo iniziato. Era tipo college band. Le abbiamo detto: «Vuoi venire in tour? Sì, certo». E non ci abbiamo pensato troppo. Abbiamo solo pensato: «Ehi, è un piccolo gruppo di amici che va a fare musica». Quando abbiamo fondato i Beatles, era più o meno tutto qui. Ci siamo inventati tutto man mano che andavamo avanti e siamo migliorati insieme. Nel caso di Linda, lei non aveva mai suonato molto la tastiera, i primi pezzi erano molto semplici. Ma io glielo facevo vedere e lei imparava in fretta. Le davo una parte vocale e lei la prendeva, magari massaggiandola un po’. Le piaceva particolarmente il Moog. Ora è tornato in voga! A lei piaceva tutta quella roba funky.
Abbiamo sempre detto che sarebbe stata un’ottima punk rocker: aveva il piglio giusto. In effetti, in quel periodo ci evavamo dati dei nomi punk rock. Lei era Vile Lynn, violino, e io Noxious Fumes. Poi non ne abbiamo mai fatto nulla. Così, man mano che andavamo avanti, lei ha imparato molto e alla fine è diventata un’ottima musicista e parte integrante della band. In Band on the Run cantava benissimo e in modo molto particolare. Ricordo che anni dopo, quando lavorai con Michael Jackson lui mi chiese: «Chi ha cantato quelle armonie?», io risposi: «Beh, fondamentalmente siamo io e Linda. E Denny in parte». Lui disse: «Oh, sono fantastiche». Man mano che andava avanti, acquistava sempre più sicurezza.
Da dove viene il titolo, Band on the Run?
L’ho pensato solo per la canzone. In quel periodo c’erano molte canzoni come Desperados e Renegades… credo che molte persone fossero in fuga. All’inizio degli anni Settanta molte persone si erano ritirate dalla società in modi diversi. Era nell’aria e l’idea di una band in fuga, mi sono detto, è fantastica. Potreste essere una banda di fratelli, una specie di fuga dalla prigione, ma una band, una banda musicale. L’ho messa insieme e ne è nata Band on the Run.
È vero che Picasso’s Last Words (Drink To Me) è stata scritta dopo che Dustin Hoffman l’ha sfidata a creare una canzone sul momento?
Picasso’s Last Words è stata una sfida. Dustin Hoffman mi disse: «Puoi scrivere una canzone su qualsiasi cosa?». Io ho risposto: «Non lo so, forse«. Lui ha detto: «Dammi un minuto» ed è corso di sopra. Torna giù con un articolo di giornale sulla morte di Picasso. E mi dice: «Vedi quali sono state le ultime parole di Picasso?». Le sue ultime parole ai suoi amici furono: «Bevete per me. Bevete alla mia salute. Sapete che non posso più bere». Allora Dustin mi ha chiesto: «Puoi scrivere una canzone su questo?». Casualmente avevo con me la chitarra. Così ho iniziato a cantare una melodia su quelle parole. Era sbalordito. Disse ad Annie, credo fosse la moglie di allora, con la quale non sta più insieme: «Annie, vieni qui, ascolta qua! Guarda qua! Gli ho appena dato il giornale e ha già la canzone!».
Dave Grohl ha eseguito Band on the Run con voi a Glastonbury 2022. Dopo tanto tempo, cosa pensa dell’eredità e dell’influenza dell’album?
Beh, per me è davvero fantastico. Il mio grande obiettivo dopo i Beatles, una volta che avevo deciso di mettere insieme una band, era quello di fare qualcosa di diverso. È stato difficile, perché per tutti quegli anni mi sono allenato in stile Beatles e non volevo continuare a fare la stessa cosa. Così ho dovuto evitare tutto ciò che suonava troppo Beatles e creare un nuovo stile, che sarebbe diventato lo stile Wings. Quando abbiamo fatto Band on the Run, sentivo che ci eravamo riusciti. Avevamo creato qualcosa che non assomigliava affatto ai Beatles. Aveva degli echi, forse inevitabilmente, perché c’ero io, ma aveva uno stile sé. Anni e anni dopo stavo facendo un’intervista con qualcuno, credo fosse di Rolling Stone. Stavamo parlando di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e mi sento dire: «Il mio Sgt. Pepper era Band on the Run».
Per la generazione che è venuta dopo quel disco è stato altrettanto importante e questo mi ha fatto sentire bene, perché è quello che ho cercato di fare: creare qualcosa che fosse importante come lo sono stati i Beatles. Dave Grohl ha fatto una grande versione di Band on the Run con me a Glastonbury. L’ha cantata benissimo e l’ha fatta con la mia band. È fantastico per me vedere che quella canzone sia cresciuta, è la conferma finale di ciò che stavamo cercando di fare all’epoca.
Durante il «Got Back Tour» avete suonato diverse canzoni di Band on the Run e tutte hanno un suono contemporaneo. Pensi che ci siano dei fan più giovani che ascoltando la nuova pubblicazione del 50ennale penseranno che si tratti di un nuovo grande album di McCartney?
Non lo so, non mi dispiacerebbe. È un po’ strano perché la musica è entrata in uno dei suoi cicli: come la moda, come qualsiasi cosa. E mentre negli anni Ottanta si è spostata verso la disco, la techno, ora la gente sta tornando alle origini. Si suonano molti strumenti diversi, si ottengono suoni più grezzi. Credo che Band on the Run si inserisca molto bene in questo contesto. Quindi sì, forse qualcuno penserà: è il suo nuovo disco, amico ed è contemporaneo!
L’edizione del 50esimo anniversario di Band on the Run contiene una versione inedita «Underdubbed» dell’intero album. Underdub in che senso?
È Band on the Run come non la avete mai sentito prima. Quando su una canzone e si sovraincidono parti di strumento aggiuntive, tipo una chitarra in più, si parla di overdub. Qui è l’opposto: un underdub.
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