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Sanremo dà tanto ma toglie troppo: il Festival che non avremo mai

today12 Febbraio 2024 11

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Quattordici milioni e 300mila spettatori non possono essere lì per caso. Lo share del 74% e i quasi dodici milioni rimasi svegli fin quasi alle 3 del mattino per la proclamazione della vincitrice di Sanremo 2024, Angelina Mango, confermano la ricetta vincente di Amadeus. Contestatissimo, apprezzatissimo. Ma fra tutti questi “issimi” c’è chi solleva qualche riflessione di sostanza, a cervello e occhi freddi rispetto al tourbillon sanremese, su cosa rappresenti il Festival per il sistema musicale e culturale in Italia, al di là della settimana ultra gossippara che muove onde alte così. Un sondaggio e i pareri di alcuni addetti ai lavori eccellenti su cosa è diventato Sanremo meritano per lo meno attenzione.

Chi avrebbe vinto se si fosse votato alla vecchia maniera: i dati dicono tanto. Leggi qui

“E’ impensabile andare avanti così”

A muovere una polemica mirata sul suo profilo Facebook è Ferdinando Arnò, fra le grandi firme della pubblicità in Italia ma anche talent scout e arrangiatore di peso (sua è stata la valorizzazione di Malika Ayane in team con la Sugar di Caterina Caselli). Arnò lo dice subito, non parla da “rosicone” per il semplice motivo che, come lui stesso ricorda, ha vinto “3 premi della critica a Sanremo e due premi Tenco (trovatemene un altro, e non è manco il mio core business)”. Che il Festival schiacciasassi lasci attorno anche tante macerie, Arnò lo spiega così: “È impensabile che tutto il pop, tutta la musica musica leggera italiana, tutti i cantanti italiani, dai 15 ai 95 anni debbano, per farsi conoscere, o per non essere dimenticati, passare sotto lo schiacciasassi di un concorso canoro, una gara, la sola a disposizione. Una gara dove come in un compressore dinamico, le differenze diventano minime, si azzerano. Per cui la Mannoia proporrà un brano reggae mentre i rapper canzoni romantiche. Tutto qui”. Cosa manca allora? “I Grammies, ci vogliono i Grammies anche in Italia. Si premiano gli artisti più bravi selezionati in base allo stile, al genere di musica. Classica, pop, jazz, folk, indie, rock, tutto, tutta la musica italiana”. Fra i numerosi commenti, quello di Pietro Cantarelli: musicista, arrangiatore, per anni braccio destro di Ivano Fossati e autore, fra le molte altre cose, della canzone Ho amato tutto interpretata da Tosca e vincitrice di due premi al Festival: “Molto ben detto, Ferdinando”. E molti altri addetti ai lavori fanno eco a queste considerazioni.

Ma è possibile un “altrove”?

Sanremo come specchio di tanto trash gossipparo televisivo e di un certo pop da “tre-minuti-due-note-ritornello-facile-tanto-la-canzone-la-ascolto-in-mezzo-al-traffico-in-macchina”. Amadeus ha avuto il merito di riavvicinare il pubblico giovane alla musica in gara al Festival, sempre percepito come “roba da matusa, noiosa e superata”. E quindi via all’orda di trapper, rapper e finto alternativi (è il caso dei La Sad e dei Bnkrr 44: non basta avere il ciuffo verde e gli occhi bistrati per parlare di punk o rock, e i pezzi lo dimostravano in modo tragicomico, un autentico pasticcio). Ma quanto propone Arnò è di difficilissima attuazione. Motivo? L’Italia ha un’industria musicale davvero ridottissima per strutture (tutte sussidiarie di gruppi multinazionali in difficoltà) e volumi di vendita (niente di paragonabile agli artisti Usa o inglesi, e perfino coreani, cinesi, brasiliani o indiani, i nuovi mercati musicali in termini di vitalità).

Le istituzioni, un fantasma

E un supporto istituzionale ancora più lacunoso e fragile. Facciamo fatica ad avere una scena pop di peso, immaginiamoci cosa si trova quando ci spostiamo in ambito jazz, di musica colta o contemporanea, world music. Tutti generi che vengono tenacemente difesi da piccole entità e alcuni festival con buon risonanza. Gli americani fanno con la musica quello che noi italiani facciamo con Ferrari e Armani. E si sono permessi di dare il Pulitzer (uno dei massimi riconoscimenti giornalistici) ad un album del rapper Drake che ha raccontato meglio di tanti media la realtà durissima delle periferie. C’è anche un altro dato di cui tenere conto.

L’altra faccia della medaglia di un sondaggio

La percezione vincente del Festival dei grandi numeri si porta appresso critiche e zone d’ombra. Alcune di queste le mete in evidenza un sondaggio della Ghisleri, riportato dal quotidiano La Stampa. Secondo il quale “il 44,9% degli interpellati percepisce il programma come poco innovativo e stagnante“. In particolare, un italiano su 2 “non condivide la scelta di affrontare queste questioni nel corso della manifestazione e tra loro spiccano i ragazzi tra i 18 e i 24 anni (76.3%)”. Ma se i ragazzi non amano l’impegno come fai a presentare loro a Sanremo artisti jazz o di musica contemporanea? Parrebbe impossibile, ma chiediamoci come mai Alberto Angela o Roberto Bolle fanno ascolti record quando sanno rendere pop la cultura alta e la danza in tv. 

 

 





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Scritto da: redazione

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