«Scopriremo tra pochi giorni se l’agrivoltaico avrà successo, quando saranno approvate le regole operative che dovranno disciplinare le modalità e le tempistiche di riconoscimento degli incentivi». Rolando Roberto, vicepresidente di Italia Solare e co-coordinatore del gruppo di lavoro sull’agrivoltaico, fa riferimento ai fondi per 1,1 miliardi, provenienti dal Pnrr, che il decreto dedicato del ministero dell’Ambiente mette sul piatto per la costruzione di 1,04 GW di impianti agrivoltaici avanzati entro il 30 giugno 2026, in cui coesistano la produzione di energia solare, con pannelli rialzati, e, sotto, l’attività agricola.
«Ci sono requisiti tecnici, come un’altezza minima da terra di 1,3 metri per l’allevamento o di 2,1 per l’agricoltura. Sono impianti con un costo più elevato, sia come investimenti iniziale che come manutenzione. Quelli esistenti sono al momento di natura sperimentale, in Italia come in Francia, Usa, Germania, Giappone. Non c’è ancora uno storico completo se non per poche colture specifiche. Potrebbero costare dal 20-30% fino al 50-60% in più. Con il fondamentale accordo tra la parte agronomica e quella tecnico-elettrica». Roberto riflette anche sull’impatto sul mondo agricolo: «Se un agricoltore è piccolo, e non ha capacità finanziaria, possibilità di prestare garanzie, non riuscirà a realizzare questi impianti: è più facile che si affianchi a un partner industriale che possa far fronte agli aspetti economici e di rischio d’impresa. Chi invece se lo può permettere, le aziende agricole più strutturate, potrà beneficiare direttamente di questa iniziativa,+ differenziando il reddito agricolo con la vendita di energia».
Le risorse stanziate per l’agrivoltaico sono, per le imprese, una buona notizia. Ma che non basta a risolvere il problema delle campagne. Anzi secondo alcuni potrebbe persino aggravarli, soprattutto se l’equilibrio penderà più verso il beneficio energetico che agricolo. La Sicilia, in questo caso, è la regione più rappresentativa sia in termini di opportunità che di problemi. Due i fronti: da una parte quegli agricoltori che guardano all’insediamento di grandi parchi fotovoltaici con favore e pensano che siano un’opportunità. Gli agricoltori del trapanese sono pronti a vendere o affittare anche centinaia di ettari: «Per le aziende che non hanno ricambio generazionale – dice Davide Piccione, marsalese e presidente dell’associazione Guardiani del territorio che coinvolge oltre 250 piccoli imprenditori – rappresenta una via d’uscita. Ma anche per altre lo è, in un territorio in cui il prodotto vino rende tremila euro a ettaro ma ne costa 2.500. Una situazione alla base della fuga dei giovani dalla terra. Ormai vi sono grandi distese di vigneto abbandonate e i parchi rappresentano un’alternativa».
Dall’altra ci sono le grandi organizzazioni agricole che contestano il quadro attuale e continuano a chiedere interventi per fermare quella che chiamano l’invasione dei pannelli. «Noi – dice Camillo Pugliesi, presidente della Cia della Sicilia occidentale – pensiamo che l’agrivoltaico debba essere d’aiuto alle aziende agricole e siamo contrari al consumo di suolo. Il problema di fondo rimane quello di garantire un reddito adeguato agli agricoltori e fermare la desertificazione delle campagne». Più netta la posizione di Coldiretti che ha inviato una lettera al presidente della Regione Renato Schifani: «Rischiamo che la Sicilia diventi la più grande distesa di specchi per la produzione di energia. Migliaia di ettari sono ormai improduttivi e l’ambiente, il panorama, la sostenibilità e ogni altro aspetto che riguarda il valore aggiunto della nostra Regione è ormai intaccato – dice il presidente regionale Francesco Ferreri –. Serve fermare il fotovoltaico a terra con un decreto immediato del ministero dell’Ambiente sulle aree idonee per fermare le speculazioni prima che sia troppo tardi».
Il decreto agrivoltaico, ha ricordato anche ieri il ministro Gilberto Pichetto Fratin in Senato, in realtà promuove «la coesistenza di più usi del suolo», «anche al fine del recupero di terreni all’uso produttivo». La Regione Sicilia in ogni caso ha messo le mani avanti, con un decreto sulle aree non idonee per preservare quelle «dove si realizzano le produzioni di eccellenza siciliana». Se ne parla da mesi, una versione è stata anche pubblicata sul sito della Regione: era il 17 luglio del 2023 ma il decreto non c’è ancora.
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