Una grande serie, con interpreti eccezionali e l’ironia che spezza la tensione
Tutte le guerre si combattono due volte. Una sul campo di battaglia e una nella memoria.
La scritta che fa da premessa a The Sympathizer, Il simpatizzante, in prima visione assoluta in esclusiva su SKY e NOW dal 20 maggio non lascia spazio ai dubbi: questa è una storia di guerra.
Ma la guerra è fatta di tante battaglie, non necessariamente con le armi in mano. E questa serie strepitosa, in 7 episodi, combatte sul piano dello spionaggio.
La trama de Il simpatizzante
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Saigon, 1975. Poco prima della caduta della città nella guerra fratricida del Vietnam, il Capitano (Hoa Xuande, L’ultimo boss di Kings Cross) – un ufficiale della polizia vietnamita – lavora come spia comunista nel Sud del Paese. Costretto ad andare in esilio negli Stati Uniti appena prima della fine della guerra, finché resta in patria vive una doppia vita. Sta vicino ai suoi amici di sempre, e ai rifugiati sudvietnamiti, mentre continua a lavorare come spia per i Viet Cong, riferendo al nemico ogni mossa e iniziativa del Sud.
Fra rimorsi, amicizie tradite e difficoltà a gestire una doppia vita, il Capitano cerca di fare ciò che pensa di dover fare.
Il simpatizzante: fra dramma e ironia, con un grande Robert Downey Jr.
Dal trailer sembra dare l’impressione di gigioneggiare, come spesso fanno gli attori per divertirsi quando interpretano molti personaggi diversi nello stesso film. Ma non è così: Robert Downey Jr. (che firma anche da produttore esecutivo questa serie HBO)rende credibile ogni singola interpretazione che porta avanti in questa serie che nasce come adattamento dell’omonimo romanzo di Viet Thanh Nguyen, vincitore del Premio Pulitzer. E, nonostante la sua istrionica bravura, che dà chiaramente voce alle tante facce dell’America intervenuta in Vietnam, riesce e non oscurare uno straordinario protagonista, Hoa Xuande, la cui carriera da qui in poi, c’è da scommetterci avanzerà grazie a questa prova attoriale non da tutti.
Creata da Park Chan-wook (Oldboy, Snowpiercer), che cura anche la regia di metà degli episodi, insieme a Don McKellar (Blindness – Cecità, in cui compare anche come interprete), Il simpatizzante è una serie complessa. Ci parla di un pezzo di storia, ricostruendo atmosfere ed eventi che hanno segnato la storia di una parte del mondo e influenzato diverse altre zone. Ci racconta la straziante dicotomia che devasta un uomo che ha scelto di fare la spia, tradendo tutti coloro che lo amano. E ci mostra, senza giri di parole, il dolore e l’orrore di una guerra che ha segnato un numero infinito di vite.
Noi abbiamo visto la serie in anteprima, in lingua originale, e in inglese abbiamo letto anche il romanzo. Le parole con cui ci si presenta il Capitano – mezzo francese e mezzo vietnamita e per questo disprezzato e insultato da tutta la vita – suonano più o meno così:
Sono una spia, un dormiente, uno spettro, un uomo dai due volti. Forse non sorprende che io sia anche un uomo con due menti. Non sono un mutante incompreso di un fumetto o di un film horror, anche se alcuni mi hanno trattato come tale. Sono semplicemente in grado di vedere qualsiasi problema da entrambe le parti.
Detta così, capite bene che il ruolo del Capitano sembra un punto di vista privilegiato. Nella realtà dei fatti, è una maledizione che gli causa infinito dolore. Dal principio a quella fine in cui farebbe qualsiasi cosa, incluso pagare con la vita, per restare nel suo Paese.
Tecnica e contenuti si abbracciano in una danza perfetta
L’uso della soggettiva, le panoramiche a schiaffo, le riprese dal basso si alternano a una regia classica ed equilibrata, per restituirci il senso di una doppia prospettiva.
La colonna sonora inserisce frequentemente commenti musicali scherzosi, tesi a sdrammatizzare situazioni emotivamente impegnative. E tutto, costantemente, si svolge sotto lo sguardo ironico degli autori che, di tanto in tanto, ci ricordano che stiamo guardando una serie TV prima che le cose si facciano insostenibili.
Dopo la caduta di Saigon, i civili e i militari rimasti, membri dell’esercito sconfitto, lottano disperatamente – anche fra loro – per assicurarsi un posto sugli aerei in partenza mentre il nostro protagonista, la nostra guida in questo mondo di doppi giochi, esita.
Il Vietnam, quel Paese che secondo molto non gli appartiene davvero perché è un “mezzosangue” frutto delle colonie, è la sua casa. Tutto ciò che ha fatto, nel bene e nel male, è stato per lui, per il Vietnam, per quel Paese devastato in cui il Capitano sogna un futuro che non potrà mai avere.
In California, fra la seconda metà degli anni ’70 e gli anni ’80, gli immigrati vietnamiti lavorano nei negozi di liquori e mettono in piedi i ristoranti etnici, in un Paese – gli Stati Uniti – per cui la guerra in Vietnam ha rappresentato un conflitto lontano, mai compreso, ma che ha causato una ferita insanabile nelle famiglie americane. 150 miliardi di dollari spesi per veder morire quasi 60.000 ragazzi americani e averne visti, feriti e traumatizzati, oltre 150.000 mandati in un posto sconosciuto a combattere una guerra sconosciuta.
Costretto a compiere azioni indicibili per mantenere la propria copertura e continuare a risultare credibile, il Capitano – ed è questo il vero punto di forza del romanzo e della serie – ha una coscienza. Qualcosa che le spie sono abituate a spegnere, come se fosse un interruttore. Sono addestrate a farlo. Hanno dei metodi che consentono loro di condurre una vita di menzogne. Ma il Capitano, pur abile nel suo mestiere di doppiogiochista, soffre ogni volta che deve colpire un innocente o mandare a morire qualcuno che si fidava di lui. Perché il suo sguardo è, incredibile ma vero, spietato ma anche pieno di compassione. Al tempo stesso. Mentre guida un cast eccezionale, di cui fa parte anche Sandra Oh e che vi colpirà.
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